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Reddito e pensione di cittadinanza

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Internazionale. Non c’è solo l’America di Trump

USA E GETTABomeluzo elez americane nov 2016Bernie Sanders e la sinistra che torna a parlare di lavoro e di tasse ai ricchi
Occupazione. Trattare l’occupazione in quanto diritto che deve essere garantito dallo Stato – come postula la nostra Costituzione – è qualcosa di radicalmente diverso dall’atteggiamento presupposto dalla visione paternalistica che si concentra sull’elargizione di benefici monetari al popolo

di Laura Pennacchi
Su il manifesto, EDIZIONE DEL 27.02.2019
PUBBLICATO il 26.2.2019, 23:59

C’è un fiorire d’iniziative sul “lavoro garantito” nel Partito democratico americano, promosso da Bernie Sanders – sotto la spinta di una ispirazione socialista che lo induce a valorizzare un impegno di lunga data di think tank come il Levy Institute – ma raccolto anche da esponenti centristi con la rivendicazione della superiorità dei servizi pubblici. Il focus sul “lavoro garantito”, soprattutto per i giovani e le donne, costituisce la proiezione nell’immediato della riscoperta di un valore e di un obiettivo considerato obsoleto.

L’obiettivo della “piena e buona occupazione”, finalmente assunto con una energia analitica e una determinazione politica ammirevoli, anticipate dalla Cgil fin dal 2013 con il Piano del lavoro, ora riproposto con fantasia e vigore dalla nuova segreteria di Maurizio Landini. A sua volta l’obiettivo della piena occupazione si radica nell’urgenza di concentrare tutte le forze nel rilancio degli investimenti, pubblici e privati, vivificati in un rinnovato sforzo di grande progettazione per un nuovo modello di sviluppo ricollocando al suo centro le domande su “per cosa, per chi, come produrre”.

A questo grappolo inscindibile di valori e di obiettivi i democratici americani associano il ribadimento della legittimità democratica della tassazione progressiva e la liberazione dalla subalternità al dogma neoliberista della “riduzione oltranzistica delle tasse sempre e comunque”, proponendo, invece, un vertiginoso aumento delle aliquote maggiori per i più ricchi (nelle proposte di Ocasio-Cortez fino al 70%) e una più incisiva imposizione sulle imprese e sui patrimoni.
Tutto ciò dimostra che quando gli argomenti intellettuali si saldano con quelli etici, l’intero contesto politico può cambiare profondamente e rapidamente. Dunque, pensiero ed energia emotiva e morale si confermano risorse strategiche.

Esattamente quelle risorse che difettano alle sinistre italiana ed europee, come argomenta Peppe Provenzano nel suo La sinistra e la scintilla (Donzelli).

Esattamente quelle risorse che mancano del tutto al governo Lega-5Stelle, il quale assai più che per la violazione delle regole del patto di stabilità – pur riprovevole perché utilizza margini di flessibilità per spesa corrente improduttiva destinata a disordinate regalie pensionistiche e a misure assistenziali risarcitorie non promozionali – andrebbe stigmatizzato per la miseria e l’angustia con cui affronta le cruciali scadenze di un Def che cade nel mezzo di un serio rallentamento dell’economia europea e di una aperta recessione di quella nazionale.

Trattare l’occupazione in quanto diritto che deve essere garantito dallo Stato – come postula la nostra Costituzione – è qualcosa di radicalmente diverso dall’atteggiamento presupposto dalla visione paternalistica che si concentra sull’elargizione di benefici monetari al popolo.

Tra l’altro, riportare il baricentro sull’occupazione e sul lavoro – contestando la ineluttabilità della jobless society intrinseca al funzionamento spontaneo del capitalismo – consente anche di trattare le questioni della diseguaglianza non solo come problema redistributivo, facendone una nuova retorica inconcludente, ma anche come problema concernente primariamente la sfera produttiva, l’allocazione, le strutture in cui si articolano i modelli di sviluppo.

Dietro le iniziative sul “lavoro garantito” e sulla connessa idea di utilizzare lo Stato come employer of last resort stanno, oltre a una nobile tradizione teorica (che da Keynes va a Meade, a Minsky, ad Atkinson), le profonde trasformazioni di questi anni che spingono tutti i paesi verso un modello di sviluppo meno orientato alle esportazioni (meno export led) e più centrato sulla domanda interna, per alimentare il quale occorrono interventi mission oriented da parte dell’operatore pubblico, forti politiche industriali e territoriali, energiche iniziative in innovazione e in ricerca.

Dobbiamo respingere la retorica dell’esogenità, della naturalità e della neutralità dei fenomeni tecnologici e riaffermare la possibilità di quella che Atkinson chiamava una direzione pubblica e collettiva dell’innovazione. Infatti, da una parte, a più di dieci anni dall’esplosione della crisi del 2007/2008, l’economia mondiale mantiene un andamento talmente sussultorio che in molti denunziano i segnali del probabile scatenarsi di una nuova grande crisi e parlano di secular stagnation, vale a dire, secondo le parole di Larry Summers, di una “crescita ordinaria realizzata mediante politiche straordinarie e speciali condizioni finanziarie”, le quali incoraggiano il rischio abnorme, un indebitamento malsano, la formazione di bolle che, a loro volta, pongono le premesse per nuove crisi.

In Europa la fine del quantitative easing accentua lo scarto tra il volume di lavoro desiderato e quello reso disponibile da parte delle imprese e qualcuno – per esempio il sindacato svizzero – propone di fissare per legge alle imprese al di sopra di una certa dimensione “standard occupazionali” in termini di European employment guideline (Eeg), una sorta di imponibile di manodopera per il nuovo millennio.

Dall’altra parte assistiamo al manifestarsi di drammatiche problematiche come quella ambientale e all’emersione di enormi bisogni sociali insoddisfatti (che tipicamente modellano la domanda interna), tutte cose che il mercato da solo non risolve, non lenisce, non tratta. La rottura degli equilibri ambientali sta avvenendo a una velocità senza precedenti, mentre nell’abitazione, l’alimentazione, la mobilità, il tempo libero, la cultura, l’istruzione, la formazione, la salute, i bisogni dei cittadini rimangono inevasi e nei territori (dalle grandi aree metropolitane alle piccole e medie città, alle aree rurali e periferiche) la qualità delle vita degrada.

In tutti questi settori e aree andrebbe sollecitata una mobilitazione di energie fuori del comune. L’impegno nel “lavoro garantito” ci ricorda che l’anima del New Deal di Roosevelt, di cui spesso si parla del tutto a sproposito, furono straordinari progetti collettivi (quali l’elettrificazione di aree rurali, il risanamento di quartieri degradati, la creazione dei grandi parchi, la conservazione e la tutela delle risorse naturali) piegati al fine di creare lavoro in vastissima quantità e per tutte le qualifiche (perfino per gli artisti e gli attori di teatro) attraverso i Job Corps – le “Brigate del lavoro” –, identificando per questa via nuove opportunità di investimento e di dinamismo per l’intero sistema economico.

È un varco simile quello che oggi si apre e da cui si può sollecitare la svolta da un modello di sviluppo malato – basato sulla droga delle “bolle” finanziarie e immobiliari, dell’incremento esponenziale di valore degli asset e dell’indebitamento speculativo privato – a un nuovo modello di sviluppo, orientato a rivoluzione verde, rigenerazione urbana e riqualificazione dei territori, beni culturali, istruzione e Università, benessere umano e civile.
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Bernie Sanders durante la campagna elettorale del 2016
Da il manifesto del 26 febbraio 2019.

Che succede?

c3dem_banner_04IL TESTA-CODA DELL’ITALIA GIALLOVERDE
27 Febbraio 2019 by Forcesi |su C3dem
Lucrezia Reichlin, “Crescita senza infelicità” (Corriere). Sergio Fabbrini, “La povertà non si batte con l’economia in declino” (Sole 24 ore). Stefano Lepri, “L’opzione Draghi come riserva della Repubblica” (La Stampa). Mario Draghi, “Un altro cambiamento è possibile” (lectio a Bologna per la laura honoris causa, Foglio). Mariana Mazzucato, “La luna dello stato padrone” (Repubblica). Marco Fortis, “Il testacoda dell’Italia giallo-verde” (Foglio). Giovanni Tria, “Globalizzazione sovranista” (lezione all’Università di Tor Vergata, Foglio). Luca Ricolfi, “Perché l’Italia va indietro quando gli altri crescono” (Messaggero). Enrico Morando, “Perché l?Italia tornerà a mettere in discussione l’euro” (Foglio). Leonardo Becchetti, “Tutte le menzogne della propaganda non euro” (estratto di un suo nuovo libro, Avvenire). Laura Pennacchi, “Bernie Sanders e la sinistra che parla di lavoro” (Manifesto). Alessandro Barbano, “Il liberalismo va ripensato” (Il sole 24 ore). Francesco Armillei, “Italia, il paese più frammentato d’Europa” (lavoce.info).
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IN USCITA DALL’INCANTESIMO POPULISTA?
27 Febbraio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Dopo il voto in Sardegna, i favorevoli al dialogo del Pd con i 5 stelle: Piero Ignazi, “Chi avrà i voti perduti dai 5stelle?” (Repubblica); Franco Monaco, “Pd, se non ora quando con il M5S?” (Il Fatto); Massimo Cacciari, “Ora il Pd si apra ai temi grillini per separare Di Maio e Salvini” (Il Fatto); Goffredo Bettini, “Nel Pd stop agli insulti ai 5stelle” (intervista a Il Fatto); Domenico De Masi, “I Dem facciano il primo passo, poi il M5S molli il capitano” Il Fatto); Miguel Gotor, “Di Maio ha fallito, e i grillini non aspettino le europee” (Il Fatto). Per altri è la sinistra radicale a poter e dover dialogare con il M5S: Enzo Scandurra, “Non è il Pd il possibile rubavoti dei 5 stelle” (Manifesto). Una voce diversa: Ezio Mauro, “La sinistra nonostante” (Repubblica), che scrive: “Possibile che a sinistra ci sia ancora chi crede che il futuro possa essere illuminato da cinque stelle…”. LA DISCUSSIONE INTERNA AL PD: Monica Guerzoni, “Il Pd e la carta Pisapia” (Corriere), e il commento di Franco Monaco, “Una vittoria e mezzo per Pisapia” (Huffington post); Nicola Zingaretti, “Il Pd non sarà più il partito della boria” (a Repubblica); Maurizio Martina, “Ma alle Europee non possiamo andar da soli” (a Repubblica) e “Recuperiamo voti ai 5stelle su ambiente e lavoro” (a La Stampa); Peppino Calderola, “C’è ancora vita a sinistra. Zingaretti è l’uomo giusto” (intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno); Fabio Martini, “Il suo popolo chiede a Renzi un nuovo partito” (La Stampa); Enrico Letta, “Primarie oscurate. Io ci sarò” (al Corriere). E ANCORA: Achille Occhetto, “Il renzismo finito perché subalterno al neoliberismo” (intervista a Italia Oggi); Paolo Mieli, “I rapporti di forza a sinistra” (Corriere).
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Oggi giovedì 28 febbraio 2019

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- Su Democraziaoggi.

Elezioni. The [long] day after

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Cambiare tutto perché nulla cambi
di Nicolò Migheli, su SardegnaSoprattutto

By sardegnasoprattutto/ 27 febbraio 2019/ Società & Politica/

Scomodare il principe di Salina dopo questa tornata elettorale è d’obbligo. Il Gattopardo benché romanzo siciliano appartiene anche alla Sardegna e all’Italia perché riesce a raccontare bene come le nostre classi dirigenti non solo si adattino al mutamento ma lo provochino per mantenere il loro potere. Tracce di comportamenti simili si ritrovano in tutta la letteratura sarda a cominciare dal Giorno del Giudizio di Salvatore Satta.

Sigismondo Arquer nel suo Sardiniae brevis historia et descriptio, come ci ha ricordato di recente Maria Antonietta Mongiu in una delle sue Pillole, ci offre una definizione connotativa della classe dirigente cagliaritana, estendibile a quella sarda: […] La città ha molti privilegi e molte immunità che i Cagliaritani ottennero un tempo dai re di Aragona per la loro singolare fedeltà. Ma oggi, quando non sono solerti nei riguardi della cosa pubblica, ma guardano maggiormente al privato interesse (come suole accadere pressoché ovunque), tutto va in malora: gli abitanti disprezzano le buone lettere, convinti sia loro sufficiente salutare appena la lingua latina sulla soglia e comprendere le leggi degli imperatori e i decreti dei pontefici quel tanto che serve per incrementare il patrimonio di famiglia […]

Ad Arquer questi passaggi, più che l’accusa di eresia, costarono il rogo nella Toledo del 1571. Quanto di questi comportamenti siano rimasti nelle attuali classi dirigenti è demandato al giudizio di tutti. Al di là delle percentuali di voto, dei vincenti e dei perdenti, sono alcuni degli eletti che con la loro rinnovata presenza in Consiglio Regionale raccontano un sistema di potere inscalfibile che si adatta alla contingenza temporale, resiste come una sughera sotto il maestrale.

Nelle analisi del voto lette fino ad ora risentono dell’italocentrismo degli osservatori, tutto viene ridotto alla sopravvivenza del governo o al permanere in vita del PD. Segnali forse importanti ma che nascondono quel che è avvenuto. Da quando esiste l’elezione diretta del presidente, nessuno di loro ha superato il limite del primo mandato. Per le classi dirigenti sarde questo evidentemente poco conta; si sono fatti la legge elettorale blindata che permette una proliferazione di liste di coalizione con la presenza di un candidato per condominio che favorisce la moltiplicazione dei portatori d’acqua.

Legge che innalza la soglia di accesso a percentuali turche. L’unico a superarle, pur falcidiato, il M5S che ha potuto godere solo in parte dell’effetto alone governativo sequestrato dal protagonismo leghista. I voti alla Lega si potrebbero leggere come raccolta dei voti che furono di Alleanza Nazionale e in parte dai transfughi di Forza Italia. L’erede naturale di AN: Fratelli d’Italia non supera il 4,73.

Ha vinto Salvini o Solinas? In termini di voti, benché la Lega primo partito del centro-destra, sono appaiati se si considera anche Forza Paris costola del PSd’Az. Sarà un governo a trazione sardista o leghista? Solo l’attribuzione degli assessorati pesanti lo chiarirà. Circola voce che la Lega voglia l’assessorato alla sanità, ma dovrà scontrarsi con i veri titolari quarantennali di quel servizio vitale.

Il neo presidente Solinas nell’intervista all’Unione Sarda del 27 febbraio dichiara che la sanità sarà il primo suo impegno. In quelle affermazioni si mostra come politico consumato di scuola democristiana; c’è una frase che lo definisce: “Difficile che ci sia qualcosa che mi dia fastidio […]”; Divo Giulio di questo secolo.

È vittoria sardista? È ritornato il vento che fu di Mario Melis? Se guardiamo ai temi dominanti della campagna elettorale vengono molti dubbi. Da subito si sono imposti i temi leghisti, il primo quale atteggiamento avere nei confronti del fenomeno biblico dell’emigrazione e di rottura verso la Ue. Il presidente Solinas è stato abile nel non fare affermazioni negative, mentre candidati e maître à penser sardisti hanno insistito su porti chiusi, sostituzioni etniche, invasioni ecc. Temi ben diversi da quelli agitati dal governo Melis degli anni ’80.

La società sarda non si dimostra diversa da quella italiana. Non a caso Salvini festeggia rivendicandola come sua vittoria. I movimenti indipendentisti oltre a essere vittime della legge elettorale sono andati contro il pensiero dominante, non hanno accettato la prospettiva di una società chiusa, non si sono serrati dentro una lettura di esclusivismo etnico e anche questo non ha pagato in voti. Il Pd e le liste collegate reduci da un governo dell’isola fallimentare hanno difeso quel che potevano difendere, ma il deep state, l’amalgama di poteri trasversali, non contenta della riforma sanitaria e dell’abortita legge sull’urbanistica ha deciso per nuovi rappresentanti.

La Lega in questo non sarà così barbara, porterà i suoi interessi in campo sanitario, edilizio ed energetico, troverà mediatori capaci che l’accontenteranno senza perderci. È dal 1721 che accade, non sarà diverso ora. Chi potrà essere il vero agente di cambiamento per i prossimi anni? Non certo l’M5S, almeno fino a quando resterà legato alle tematiche italiane e alle centrali milanesi; non finiranno con questa esperienza di governo ma resteranno in prospettiva un movimento minoritario.

Per certi versi i penta stellati ricordano la parabola dei radicali, meno quella dell’Uomo Qualunque o del pujadismo francese. L’unica prospettiva seria è ancora quella indipendentista. Quella esperienza politica non riparte da zero, sarà pure frammentata ma questa non si supera con vani appelli all’unità. Occorre riprendere Gramsci e il suo concetto di egemonia. Bisogna guardare alle esperienze altrui, anche a quelle leghiste.

L’egemonia può essere creata solo con un lavoro dal basso, le reti sociali non bastano. Il lavoro da fare deve essere incentrato sulla presenza nelle organizzazioni popolari, dai centri sportivi ai gruppi che si occupano di tradizioni, essere nelle vertenze del lavoro; quelle sull’ambiente, sul paesaggio, e sulle servitù militari non bastano e comunque devono essere più incisive.

Significa conquistare i comuni e lì far sentire la propria diversità; le elezioni al governo della Sardegna sono il punto di arrivo e la forma di organizzazione politica si troverà. Quanto al nuovo governo dell’isola si aspetta con una certezza: nessuno sconto alla giunta Solinas così come è avvenuto per quella Pigliaru.
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Newsletter

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Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter 139 del 26 febbraio 2019

L’IRA DI DIO

Care amiche ed amici,
[segue]

Oggi mercoledì 27 febbraio 2019

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OGGI. Cineteca Sarda-Società Umanitaria
Una serata all’insegna del cinema del grande Vittorio De Seta!
A partire dalle 19.30 proietteremo:
> Un giorno in Barbagia (1958, 10′)
> Pastori di Orgosolo (1958, 10′)
> Banditi a Orgosolo (1960, 91′)
Presentazione di Antioco Floris.
Ingresso libero e gratuito.
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disperazione AladinElezioni. Neanche la batosta fa rinsavire! Quale morale nel risultato?
27 Febbraio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
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bandiera-sardaIl sardo-leghismo ha vinto, ma quale direzione deve prendere il centro-sinistra?
Salvatore Mura, Ricercatore Università di Sassari, sul blog dell’Associazione Nino Carrus.

Pastori sardi

qs-sciola-duesedia di VannitolaChi ha interesse a criminalizzare il movimento dei pastori?
Come era largamente prevedibile, finita la campagna elettorale, finite le promesse mirabolanti, dimenticato l’impegno che mai un manganello si sarebbe levato contro i pastori, comincia la repressione e la criminalizzazione. Dopo centinaia di blocchi stradali – peraltro pacifici e tollerati dagli automobilisti che esprimevano solidarietà ai pastori – qualcuno si ricorda che il blocco stradale è un reato (decreto Salvini) e denuncia un primo gruppo di pastori in lotta proprio alla vigilia del voto e per far capire che un eventuale blocco dei seggi non sarebbe stato tollerato. Poi l’assalto degli incappucciati armati alla cisterna del latte, stanotte un altro assalto a una cisterna con incendio del mezzo, mai accaduto prima. Proprio alla vigilia dell’ennesimo tavolo di trattative a Sassari sotto la presidenza del Prefetto. I pastori, nella loro protesta, hanno sempre agito alla luce del sole, senza armi e col volto scoperto. Chi compie queste azioni sono altri attori. Qualche balordo esaltato forse, oppure qualcuno che opera coscientemente per screditare il movimento agli occhi dei sardi, per ridurne il vasto consenso del quale la lotta dei pastori gode. Dopo di che, una volta separati i pastori buoni da quelli cattivi, si potrà dare il via libera a una dura repressione del movimento. La strategia della tensione, gli agenti provocatori infiltrati nei movimenti non sono una novità in Italia. Lo stesso ministro Salvini si affretta a precisare che i pastori non compiono di questi gesti e che chi li ha commessi sarà individuato e punito. Ce lo dica Lei, signor Ministro degli Interni chi sono questi provocatori, chi li organizza e chi li manda, magari Lei è più informato di noi.

L’intervento pubblico nell’economia per lo sviluppo delle comunità.

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Il ruolo dello Stato in economia non è solo quello di curare i “fallimenti di mercato”

di Gianfranco Sabattini

In Italia, dopo lo scoppio della recente crisi, il dibattito sul ruolo dello Stato in Economia, a parere di Mariana Mazzucato, ha focalizzato la riflessione quasi esclusivamente sull’impegno prioritario del settore pubblico per ridurre i debiti, quello corrente e quello consolidato; ciò, perché, si sostiene, la riduzione dei debiti è la condizione primaria per rilanciare la crescita. Questa tesi, sostiene la Mazzucato in “Lo Stato innovatore”, è però fuorviante, in quanto la crescita di un Paese non avviene in funzione dei tagli della spesa corrente, ma in funzione degli investimenti pubblici realizzati in aree strategiche, quali quelle dell’istruzione, della sanità e della ricerca per il progresso scientifici e tecnologico. Anzi, può dirsi che gli investimenti costituiscano solo un aspetto dell’intervento pubblico, collocato dal lato dell’offerta di servizi destinati ad aumentare la produttività dei fattori produttivi impiegati nel sistema economico; da soli, però, potrebbero mancare di produrre gli effetti sperati, o quantomeno ritardare il loro manifestarsi, se mancassero d’essere “sorretti” anche da interventi dello Stato, destinati a promuovere l’aumento della domanda aggregata del sistema economico.
L’enfasi posta sulla necessità prioritaria di ridurre il debito (corrente e consolidato), ai fini di un rilancio della crescita, è inoltre fuorviante, perché la riduzione della spesa pubblica, realizzata unicamente, come è avvenuto in Italia, attraverso l’austerità, con tagli indiscriminati della spesa dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali, trascura il fatto, sottolineato dalla Mazzucato, che conta la qualità del debito, non la quantità, se si vuole promuovere, in una prospettiva di medio-lungo periodo, la crescita di un sistema economico. Ciò è quanto l’esperienza ha sinora costantemente evidenziato, ovvero che il settore privato, molto più avverso al rischio di quello pubblico, si è espanso quando quest’ultimo ha operato dal lato dell’offerta, effettuando investimenti in settori strategici del sistema produttivo. Porre l’accento sulla funzione propulsiva degli investimenti pubblici – afferma la Mazzucato – non significa, però, contrapporre pubblico e privato, bensì capire come “ricontestualizzare”, in Paesi come l’Italia, “il dibattito del ruolo dello Stato in economia, lasciandosi alle spalle l’ideologia e andando nella direzione di un ragionamento pratico”, idoneo a consentire di affrontare le sfide economiche, sociali e tecnologiche sollevate dallo stato presente.
In Italia, il dibattito sul ruolo del settore pubblico in economia avviene tra due opposti schieramenti: uno conservatore e l’altro riformatore (denominato anche “progressista” dal punto di vista ideologico). I conservatori, ispirandosi all’ideologia dello “Stato minimo” o dello “Stato guardiano notturno”, sostengono l’opportunità di una spesa pubblica limitata e, quindi, un intervento pubblico nel funzionamento dell’economia assai contenuto; per contro, i riformisti chiedono che lo Stato, in un’economia di mercato, non si limiti a fare osservare le leggi per garantire lo stabile svolgimento dell’attività economica, ma espanda la sua attività, sino ad effettuare una spesa anti-recessiva e a sostegno della domanda del sistema economico.
Ciò, ricorda la Mazzucato, è in linea con quanto sosteneva John Maynard Keynes negli anni Trenta del secolo scorso; ovvero, che “se i governi tagliano la spesa ordinaria durante una fase di contrazione dell’economia, una recessione di breve durata può diventare una depressione a tutto tondo”; è quanto è accaduto in Europa dopo l’inizio della Grande Recessione del 2007/2008, allorché per contrastarne gli effetti negativi, si è scelta la via dell’austerità e della contrazione della spesa pubblica ordinaria. Tale indirizzo di politica economica è risultato ancor più negativo per quei Paesi, come l’Italia, la cui crisi non era di natura congiunturale (cioè, dovuta alla fase negativa del ciclo economico), ma alla bassa produttività dei fattori produttivi impiegati; per cui il contrasto della recessione avrebbe richiesto, non tanto il contenimento della spesa pubblica ordinaria, quanto una sua espansione qualitativamente orientata.
All’affermazione del ruolo creativo dello Stato rispetto ai sistemi economici moderni, ricorda ancora la Mazzucato, non ha concorso solo Keynes negli anni Trenta, ma anche Karl Polany, economista ungherese, negli anni Quaranta; mentre Keynes sottolineava che l’intervento dello Stato in economia non doveva avere solo una funzione anti-ciclica, ma anche una funzione più attiva e propositiva, Polany sosteneva che i presunti “liberi mercati” non erano nati spontaneamente, ma erano una creazione dello Stato e risultavano strumentali al funzionamento dei moderni sistemi economici grazie soprattutto all’azione pubblica.
L’idea dello “Stato minimo” è il risultato dell’eredità storica di una concezione della scienza economica dominante nel primo liberalismo, affermatasi sulla base del pensiero “laissezfairista”. Successivamente si è consolidata l’idea che lo Stato dovesse intervenire solo in caso di “fallimenti di mercato”; per cui, quando alla fine degli anni Settanta del secolo scorso è divenuta dominante l’ideologia neoliberista, sono stati dimenticati i contributi di Keynes e Polany, radicandosi il convincimento che, allorché “gli Stati intervengono in modi che travalicano il mandato che li impegna a correggere i fallimenti di mercato”, originano delle distorsioni nel corretto funzionamento dei mercati, a danno del settore privato.
Tale convincimento non è stato privo di conseguenza; infatti, nel corso degli anni Ottanta, nell’ambito della teoria della scelta pubblica, si è affermato l’indirizzo di pensiero del “New Public Mangement” (NPM), che ha teorizzato l’idea che i responsabili della conduzione del settore pubblico dovessero “prendersi meno spazio possibile”, sulla base del timore – sostiene la Mazzucato – che i fallimenti dello Stato potessero “produrre risultati ancora peggiori dei fallimenti del mercato”; la conclusione è stata che i responsabili delle scelte pubbliche dovessero astenersi dall’intervenire nel libero svolgersi del processo economico.
Il NPM ha messo in discussione l’esistenza di forme di gestione specifiche del settore pubblico, sostenendo la necessità che fossero adattate ai principi e alle tecniche del management privato. In tal modo, l’”aziendalizzazione” del settore pubblico ha favorito lo sviluppo di una governence dell’attività dello Stato ispirata ai principi privatistici di efficacia, efficienza, coerenza e trasparenza.
Tuttavia, a partire dal 2000, sulla base di un altro indirizzo della teoria della scelta pubblica, quello della Public Value Theory (PVT), il NPM è stato criticato, anche a fronte della riorganizzazione del settore pubblico resasi necessaria dopo l’approfondimento della globalizzazione. Secondo i sostenitori della PVT, nelle decisioni del settore pubblico, oltre a quelli strettamente economici, è necessario considerare anche altri aspetti, nel senso che accanto al benessere quantitativo deve essere considerato anche lo sviluppo qualitativo della comunità.
La critica del NPM da parte della PVT ha potuto imporsi, non solo perché le decisioni assunte dal settore pubblico sulla base del primo non hanno portato, secondo la Mazzucato, “ad un aumento della qualità e dell’efficienza”, ma anche perché hanno concorso a minare la fiducia dei cittadini sulla capacità delle istituzioni pubbliche ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo. L’intervento pubblico nell’economia, quindi, non deve limitarsi ad integrare le insufficienze delle attività del settore privato; sulla base di forme collaborative, esso deve anche poter influenzare, sia il ritmo che la crescita e lo sviluppo del sistema sociale. Per indirizzare la crescita in modo che risulti conforme alle esigenze delle società moderne, occorre che la collaborazione del settore pubblico con quello privato non si limiti alla “correzione” delle insufficienze del mercato e che i due settori sperimentino ed esplorino nuove modalità di produzione e nuove forme di distribuzione del prodotto sociale.
I Paesi che avevano mancato di sviluppare una collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, mancando per decenni di effettuare investimenti pubblici nei settori strategici a supporto della crescita economica, sono quelli che hanno subito le peggiori conseguenze allo scoppio della crisi, registrando successivamente ulteriori difficoltà, quando la crisi finanziaria ha investito i comparti produttivi reali, soprattutto nel caso di Paesi che, come l’Italia, accusavano un alto debito pubblico consolidato.
Per allentare del difficoltà complessive della crisi, i Paesi ad alto debito pubblico consolidato, oltre a ricorrere all’attuazione di una politica di austerità, per contenere la spesa pubblica corrente, hanno anche inaugurato una politica di riforme strutturali, non sempre rispondente alla necessità che il loro impatto sul settore privato risultasse compatibile con il rilancio di una crescita socialmente condivisa del sistema produttivo. Le riforme strutturali, combinate con la politica di austerità, e senza investimenti pubblici nei settori strategici, sono valse a peggiorare la situazione; penalizzando la domanda aggregata per consumi, esse hanno scoraggiato la propensione del settore privato ad investire, con conseguenti effetti negativi sull’incidenza del debito pubblico consolidato rispetto al PIL.
I Paesi (tra i quali l’Italia) appartenenti all’area-euro e caratterizzati da un basso tasso di crescita e da un’insufficiente disponibilità di risorse, piuttosto che continuare a sottostare ai vincoli sinora imposti dai Paesi forti dell’area valutaria comune, dovrebbero agire perché sia inaugurata una politica europea di crescita unitaria, fondata su un’azione congiunta del settore pubblico con quello privato e inquadrata all’interno di un’architettura istituzionale europea che consenta – sottolinea la Mazzucato – “collegamenti dinamici” tra l’uno e l’altro settore.
A tal fine, l’azione congiunta decisa a livello europeo dovrebbe essere supportata dalla possibilità, riconosciuta a ciascuno dei Paesi membri dell’area-euro, di trattare la spesa nei settori strategici “come investimenti in conto capitale”, e quindi liberata, a differenza della spesa ordinaria, dal rispetto dei vincoli degli accordi di Maastricht. Ciò perché gli investimenti in istruzione, formazione del capitale umano, conservazione dello stato di salute dei cittadini e sviluppo scientifico e tecnologico costituiscono il necessario presupposto di ogni azione pubblico-privata finalizzata al rilancio della crescita.
Un’altra esigenza connessa al settore pubblico che intenda andare ben al di là degli interventi utili a porre rimedio solo ai fallimenti del mercato è quella di elaborare una “nuova visione del settore pubblico”, che consenta di considerarlo, non solo come strumento di supporto dell’innovazione, ma anche come insieme di strutture organizzative dotate di competenze avanzate, idonee a rendere possibile l’esercizio di un monitoraggio efficace dell’attività del settore pubblico, a livello sia centrale che territoriale.
In conclusione, a parere della Mazzucato, per il rilancio della crescita dei Paesi europei, sarebbe necessario che l’Unione Europea rivedesse le regole di governance sin qui seguite, fondando la politica comunitaria futura sulla necessità di un ulteriore avanzamento del processo di unificazione politica, tenendo conto soprattutto del fatto che i Paesi in maggiore difficoltà sono quelli che più necessitano di solidarietà sul piano della disponibilità di adeguate risorse finanziarie; questa solidarietà non può limitarsi a misure di finanza creativa, sul tipo di quelle attuate negli ultimi anni dalla Banca Centrale Europea; queste misure sono servite a contrastare la speculazione, ma non a promuovere la spesa per investimenti, sia del settore pubblico che di quello privato.
Oggi, secondo la Mazzucato, la crescita di tutti i Paesi europei potrà essere supportata solo se alla Banca Centrale Europea sarà concesso di intervenire nell’area dell’Unione per svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza e quando sarà possibile “guardare in modo nuovo alla dimensione pubblica delle collaborazioni pubblico-privato”, oggi necessarie per guidare una crescita trainata dall’innovazione, socialmente inclusiva ed ecologicamente sostenibile.
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Elezioni sarde

elezioniTutti i dati nel sito dedicato della Regione Sarda: https://www.regione.sardegna.it/j/v/2763?s=1&v=9&c=93855&na=1&n=10&opt=risultati_riassuntivi&dp=1
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- Seguono gli eletti (dati provvisori)

Oggi martedì 26 febbraio 2019

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Elezioni regionali: divisi si perde! Che fare ora?
25 Febbraio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Giovedì alle 17,30 presso lo Studium Franciscanum in via Principe Amedeo n. 22 – Cagliari, il CoStat promuove una valutazione a caldo del voto con la partecipazione di esponenti delle varie liste, intellettuali e cittadini. Dopo una breve introduzione, seguirà un libero confronto al fine di individuare linee […]
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Solinas vince, tutti gli altri perdono. E il centrodestra va subito all’assalto delle coste: chi farà opposizione?
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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sedia di VannitolaLA VITA CONTINUA, PURE LA LOTTA. Una giornata tristissima per la Sardegna, un voto incredibile, per certi versi illogico ma è andata cosi. Dobbiamo farcene una ragione. Affliggersi, piangersi addosso, recriminare serve a poco. Analisi del voto, certamente va fatta ma con molto realismo e senza cercare giustificazioni per auto assolversi. Ma soprattutto occorre pensare al che fare da domani in poi. Intanto speriamo che i politici e i gruppi che non hanno raggiunto il quorum riconoscano il fallimento e rinuncino a ripresentarsi nella forma attuale in attesa che l’elettore si ravveda e cambi il suo voto nelle prossime elezioni. Pili, Maninchedda, Murgia, Lecis, ci mettano una pietra sopra e si dedichino ad altro o a ripensare nuove proposte politiche. Zedda, che ha dato prova di avere un discreto credito tra gli elettori esamini con cura la possibilità di costruire una seria forza di opposizione a Solinas e Salvini, ce ne sarà bisogno e potrebbe crescere ancora nel consenso dei Sardi. A Solinas e Salvini auguriamo buon lavoro ma sappiano che saremo la loro opposizione in tutti i modi e le forme possibili perché siamo portatori di una idea differente di sviluppo e crescita della Sardegna. Infine un consiglio a Solinas. Ha detto che il suo primo atto politico sarà portare dei fiori sulla tomba di Emilio Lussu. Gli suggerirei di astenersi dal farlo, Lussu era un personaggio particolarmente rancoroso, si sarà rivoltato più volte nella tomba quando ha visto Solinas cedere il patrimonio storico e la dignità del Psdaz ai fascio-leghisti. Potrebbe trovarlo ancora incazzato e con la pistola a portata di mano. Meglio rinunciare.
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Christian Solinas è il nuovo Presidente della Regione Autonoma della Sardegna. Auguri di buon lavoro nell’interesse dei sardi e della Sardegna!

SOLINAS CHRISTIAN lampadadialadmicromicro13Siamo stati, siamo e saremo sempre dalla stessa parte: a sinistra. Per la democrazia, la partecipazione, la libertà, la solidarietà, la fraternità, l’uguaglianza. Siamo aperti al dialogo e al confronto, nella teoria e nella pratica. Coerentemente per questa scadenza elettorale abbiamo chiesto a tutti i nostri lettori di andare a votare. Innanzitutto. Poi abbiamo dato un’indicazione molto semplice e del tutto libera (moral suasion) senza avere la pretesa di convincere nessuno a votare secondo le nostre idee, quelle che trovano modo di dispiegarsi quotidianamente nelle pagine della nostra news. Abbiamo detto: votate per una qualsiasi delle formazioni presenti nell’agone elettorale, purchè votiate contro la destra. Come più volte detto, pur avendo fatto noi (direttore, redattori e collaboratori della news), scelte precise seppure tra noi differenziate ma tutte nell’ambito della sinistra, non ci siamo permessi di andare oltre. Pensiamo che tale impostazione sia accettata (forse subita) anche da coloro che tra i nostri lettori votano a destra e dintorni e che continuano a seguirci, dimostrando comunque un’apertura democratica e un interesse culturale, a prescindere. Bene così! Sappiamo ormai come sono andate le elezioni sarde. Ha vinto il centro destra, con circa il 52% dei consensi e con il candidato presidente Christian Solinas, con circa il 48% dei consensi. Ha perso il centro sinistra, con poco più del 30% dei consensi e con il 33% dei consensi al candidato presidente Massimo Zedda. Ha perso, rispetto alle previsioni, il Movimento 5 Stelle con meno del 10% dei consensi e con il candidato presidente Francesco Desogus con oltre l’11% dei consensi. Sono andate male, malissimo le altre liste indipendentiste-identitarie-alternative Partito dei Sardi (circa 4% con il candidato presidente Paolo Maninchedda sopra il 3%), Sardi Liberi (oltre il 2%, con quasi uguale consenso del candidato presidente Mauro Pili), Autodeterminatzione (poco sotto il 2% con quasi uguale consenso del candidato presidente Andrea Murgia ), Sinistra Sarda (sotto l’1%, con quasi uguale consenso del candidato presidente Vindice Lecis) che pertanto non riescono a superare la soglia del 5% prevista dalla legge elettorale sarda*. E tutto ciò, che peraltro avevamo previsto e cercato di scongiurare con inascoltati appelli all’unità, ci dispiace moltissimo. Abbiamo perso tutti nel constare il persistente astensionismo di troppi cittadini sardi (il 46,25% degli elettori, anche se inferiore dell’1,47% rispetto alle precedenti consultazioni regionali sarde). Non vogliamo qui fare analisi o commenti, che abbiamo già ospitato e che avremo modo di ospitare nei prossimi giorni, anche sulla base dei dati definitivi e della proclamazione degli eletti. Vogliamo solo rammentare che continueremo a batterci contro la pessima e antidemocratica legge elettorale sarda, richiedendone da subito la modifica, appoggiando a tale scopo il ricorso preannunciato dal CoStat davanti al Tar perché venga sollevata l’eccezione di incostituzionalità della stessa legge con l’intento di riformare in senso tendenzialmente proporzionale la ripartizione dei seggi, attraverso il ridimensionamento dell’esagerato premio accordato alla coalizione vincente. Ma di questo parleremo ancora e a lungo. Oggi ci preme riconoscere la vittoria della coalizione di centro destra e del suo candidato presidente, Christian Solinas, che da oggi è il presidente della Regione Autonoma della Sardegna, cioè di quella Istituzione autonomista che noi rispettiamo e difendiamo per l’alta concezione che abbiamo della democrazia rappresentativa e di tutte le Istituzioni democratiche che la rendono concreta e che noi vorremo sempre al servizio dei cittadini. Nel nostro caso al servizio della Sardegna e dei sardi. Formuliamo pertanto le nostre congratulazioni e l’augurio di buon lavoro al nuovo presidente della Regione sarda Christian Solinas. Attendiamo la conclusioni delle operazioni elettorali per formulare uguale augurio agli eletti. Eserciteremo per quanto possibile e per quanto consentitoci dai mezzi a nostra disposizione una costante vigilanza critica sul loro concreto operare nell’ambito istituzionale. E di questo daremo quotidianamente conto ai nostri lettori.
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* I dati sono ancora non definiti, tuttavia rappresentativi della quasi totalità dei seggi elettorali [Fonte RAS: https://www.regione.sardegna.it/j/v/2763?s=1&v=9&c=93855&na=1&n=10&opt=risultati_riassuntivi&dp=1]

Carnevale 2019

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Oggi lunedì 25 febbraio 2019 The day after

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Dato finale dell’affluenza 53,75% (Dato 2014 52,28%).
I risultati sul sito dedicato della Regione Autonoma della Sardegna.
sardegnaelezioniregionali
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In Sardegna vince la conservazione e l’astensione. Le liste fuori dalle due coalizioni maggiori arrancano
25 Febbraio 2019

Red su Democraziaoggi.
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25 febbraio 2019 The day after


La storia siamo noi

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La storia siamo noi (F. De Gregori)
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Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
.

(Eugenio Montale)
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Non Chiederci La Parola

di Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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La poesia declamata da Gassman

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costat-logo-stef-p-c_2-2
Giovedì 28 febbraio 2019, alle 17,30, Studium francescano, via principe Amedeo, 22: Incontro-dibattito di riflessione sugli esiti elettorali del 24 febbraio.
Su fb: https://www.facebook.com/comitatoperilnoreferendum/photos/a.1691514927762878/2267885600125805/?type=3&theater
the-day-after-25-2-2019
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https://m.youtube.com/watch?v=A6kZjaIxFHk
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https://www.aladinpensiero.it/?p=7363
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CoStat. Mercoledì 27 febbraio alle ore 19, presso la sede della CSS in via Roma 72, riunione di valutazione degli esiti elettorali di domenica e predisposizione del ricorso contro il verbale di proclamazione degli eletti in applicazione della legge elettorale sarda.