Monthly Archives: luglio 2019

LUNA E NON SOLO.

f8fb1569-deeb-4e6a-b768-2043d0c0d438di Pietro Greco, su Rocca.

E ora, quando si torna? Dopo aver celebrato il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna e rivisto, con la medesima emozione di allora, Neil Armostrong effettuare il primo piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l’umanità, la domanda viene spontanea: quando rifaremo il viaggio? E di che nazionalità sarà il primo astronauta a tornare sulla Luna? Gli aspiranti sono molti. Hanno progetti che riguardano la Luna il Giappone, Israele, l’Europa con l’Esa, l’India. Quest’ultima il 16 luglio, a cinquant’anni dal lancio di quell’Apollo 11, che consentirà al Lem di toccare il suolo lunare il 20 luglio 1969, stava per lanciare una sonda con l’obiettivo di posare sul satellite naturale della Terra un robot con finalità di ricerca scientifica, ma ha dovuto rimandare la missione per problemi tecnici. A riprova che andare sulla Luna, anche cinquant’anni dopo la storica prima volta, non è una passeggiata. Persino quando la missione non prevede la presenza dell’uomo.

Usa e Cina principali candidati al gran ritorno
I candidati principali al gran ritorno restano tre: la Russia, gli Stati Uniti e la Cina. Ma per tornare sulla Luna occorrono molti soldi. Almeno 150 miliardi di dollari o forse più. E questo vincolo induce a scartare subito la Russia, malgrado la grande tradizione spaziale che ha ereditato dall’Unione Sovietica e che, tutto sommato, è riuscita a rinnovare. I russi sono gli unici, per fare un esempio, che hanno navicelle che regolarmente frequentano la Stazione Spaziale Internazionale e in questo «servizio navetta» ospitano astronauti di tutti gli altri paesi, americani compresi. Mosca avrebbe le possibilità tecniche per raggiungere la Luna in un ragionevole lasso di tempo. Ma non ha i quattrini. E, dunque, scartiamo anche lei.
I candidati possibili restano due. Gli Stati Uniti d’America e la Cina. In uno scenario che, come vedremo, non è troppo diverso da quello che, nel 1961, spinse John Kennedy a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e ad affermare, con un certo azzardo: gli americani pianteranno la bandiera a stelle e strisce sulla Luna prima che il decennio finisca.
La Nasa, l’agenzia che fu protagonista del progetto vincente cinquant’anni fa, non ne ha in questo momento uno nuovo. Tuttavia il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, cercando di imitare John Kennedy, si è dato e ha dato all’agenzia spaziale del suo paese un obiettivo a brevissimo tempo: un altro americano deve sbarcare sulla Luna entro il 2024. La data non è stata scelta a caso. Se Trump verrà eletto di nuovo alla presidenza Usa, il suo secondo mandato scadrà proprio nel 2024. E lui vuole legare il suo nome alla nuova avventura. Ma se la data proposta riguarda l’immagine del presidente, la motivazione a tornare ha altre concause più profonde. E anche più allarmanti. Ma su questo ritorneremo tra poco. Chiediamoci, per ora, quante possibilità ha Artemis – così si chiama il progetto caldeggiato da Trump – di diventare realtà? I problemi da affrontare sono tre. Uno tecnico, uno economico e infine uno politico.
Da un punto di vista tecnico non c’è dubbio: gli americani hanno la possibilità di ritornare sulla Luna anche in tempi così brevi, pur ripartendo praticamente da zero perché non hanno un progetto operativo in atto. Le cose sarebbero più facili se gli Usa si ponessero alla testa di una collabo- razione internazionale. Ma non sembra essere questa la prospettiva di Donald Trump.
Quello economico è un ostacolo serio. Finanziare la nuova missione lunare non è uno scherzo. Prevederebbe, probabilmente, di decuplicare l’attuale budget della Nasa. Ma con una decisione politica forte, un simile investimento non sarebbe fuori dalla portata degli States.
Eccoci, dunque, allo scoglio politico. Il repubblicano Donald Trump ha poche possibilità che la sua proposta passi. Lo scorso 25 giugno, per esempio, la Camera dei Rappresentanti, dove la maggioranza è democratica, ha approvato una proposta di budget per la Nasa da «tempi normali» e non ha neppure preso in considerazione il progetto di Trump. Al Senato, dove la maggioranza è repubblicana, la discussione (nel momento in cui scriviamo) è ancora in corso, ma non pare che lì in Campidoglio ci sia grande entusiasmo per Artemis.

il programma Cina
Difficilmente, dunque, un americano tornerà entro il 2024 sulla Luna. A meno che…
Che il lettore pazienti. Parleremo fra poco dell’opzione alternativa. Conviene ora riferirsi alla Cina, che ha al momento un programma più lento ma più affidabile. La Cina è stata costretta a lavorare in proprio nello spazio, anche a causa del veto americano a farla entrare nella «casa comune» della Stazione Spaziale Internazionale. Questo ha finito per favorire più che rallentare i progetti di Pechino. La Cina avrà presto una sua stazione spaziale orbitante ed è molto attiva sulla Luna. Lo scorso dicembre ha fatto sbarcare per la prima volta sulla faccia nascosta del satellite naturale della Terra una sonda, la Chang’e-4, dimostrando di aver acquisito capacità tecnologiche molto raffinate. Il prossimo dicembre lancerà la sonda Chang’e-5, cui sono affidati due compiti: raccogliere e mandare a Terra rocce lunari e creare le premesse per una base cinese sulla Luna. Perché quando il primo cinese sbarcherà sulla Luna – non oltre la metà degli anni ’30 – lo farà per restarci. O meglio, per mettere il primo tassello di una vera e propria colonia stabile. Riassumendo: il progetto di Donald Trump è a breve termine, ma non particolarmente solido. Il progetto di Xi Jinping è a medio termine ed è (o almeno, sembra) molto più solido. Quindi possiamo essere relativamente certi che al massimo nel giro di 15 anni un umano (maschio, perché no?, femmina) sbarcherà sulla Luna.

perché tornare sulla Luna?
Ma perché tornarci? Ci sono interessi (scientifici e non) così stringenti da giustificare enormi investimenti per ritornare sulla Luna? Qualcuno sostiene che saranno i privati a battere tutti per interessi economici. Lo scorso mese di dicembre Elon Musk – l’imprenditore che ha fondato e dirige, tra l’altro, la Space Exploration Technologies Corporation – ha persino presentato il primo passeggero, il giapponese Yusaku Maezawa, e la data (entro il 2023), ma non ha indicato il prezzo, comunque elevatissimo, del biglietto. Ma, fino a prova contraria, né Musk né alcun altro privato hanno presentato finora progetti di «ritorno alla Luna» credibili.
Ci sono altri interessi, magari indiretti ma più solidi. Quelli militari e geopolitici. C’è una competizione in atto tra gli Stati Uniti e la Cina che somiglia abbastanza a quella degli anni ’60 tra Usa e Urss. Washington e Pechino si confrontano non tanto sul piano ideologico, ma su quello economico, tecnologico e sempre più militare. E in questo confronto lo spazio sta acquisendo, a torto o a ragione, un valore strategico. Tanto che Donald Trump ha deciso di creare una nuova forza armata – dopo Esercito, Marina e Aviazione – che dovrà presidiare lo spazio. Le ragioni sono molte e quelle strettamente militari esulano dagli scopi di questo articolo. Difficilmente questa scelta resterà senza risposta da parte di Pechino. Stiamo andando, dunque, verso una nuova corsa alla militarizzazione dello spazio. Non è una bella notizia. Anzi, è una pessima notizia.
Ma, proprio come successe negli anni ’60 del secolo scorso, questa pessima notizia può avere effetti tangibili sul rilancio dell’esplorazione dello spazio, compreso il ritorno dell’uomo sulla Luna. Se, infatti, lo spazio assume un valore strategico, allora la possibilità di trovare risorse per affermare la propria supremazia militare e/o la propria immagine muscolare diventerà estremamente concreta.
La Luna potrebbe rientrare nel gioco di questo scontro, speriamo freddo. Ritorneremo, dunque, a un passato, anche spaziale, già visto? E assisteremo a un’autentica guerra dei due mondi?

Pietro Greco
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ROCCA 15 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2019
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Su Aladinpensiero da Rocca

75° ACCORDI DI BRETTON WOODS
accordi-di-bwcooperazione da reinventare di Roberta Carlini su Rocca. Ripubblicazione su Editoriale Aladinpensiero.
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f8fb1569-deeb-4e6a-b768-2043d0c0d438di Pietro Greco, su Rocca. Ripubblicazione su Editoriale Aladinpensiero.
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La storia della medicina

piero-di-liciadi Piero Marcialis.
30. Gerolamo Cardano.

Gerolamo Cardano è forse più noto come genio della matematica e della meccanica che come medico, ma certo è figura singolare che merita di essere ricordata.
jerome_cardanTipico uomo del Rinascimento si diletta anche di filosofia e di astrologia, con risultati discutibili.
Dire della sua vita che sia stata travagliata è un eufemismo.
Nasce il 24 settembre 1501, nonostante i tentativi della madre di abortirlo; da neonato la balia gli contagia la peste; è un bambino malaticcio; da adulto soffre di impotenza, ma guarisce, si sposa e ha tre figli: il maggiore, uxoricida, muore decapitato; il più giovane è un tale farabutto che il padre deve denunciarlo, della figlia non sappiamo. Accusato d’eresia ormai vecchio è costretto ad abiurare e giurare di non più insegnare. Muore il 13 settembre 1576 e si ignora dove sia sepolto. [segue]

Che succede nel mondo?

alexAlex Zanotelli. Come essere missionari oggi

[ Raiawadunia · ] Lug 30, 2019
Sono sempre più convinto, una convinzione maturata non solo riflettendo ma operando nella vita di tutti i giorni, che oggi la missione è globale oppure non è. Ricordo l’ultima sera che ho passato a Korogocho, la baraccopoli di Nairobi dove ho vissuto dal 1987 al 2001. Ero insieme a un gruppo di persone – responsabili di piccole comunità cristiane e pastori di diverse Chiese – che mi hanno invitato a un momento di preghiera. Poi mi sono inginocchiato in mezzo a loro e ho chiesto che mi imponessero le mani.
Un ministro di una Chiesa indipendente ha detto rivolto a Dio: “Papà ti prego, fai scendere il tuo spirito su padre Alex perché possa tornare dalla sua tribù bianca e convertirla”. Penso che in quell’episodio sia condensata la scelta di tornare in Italia, perché davvero mai come oggi l’Occidente ha bisogno di missione.
Per fare missione, cioè portare la buona novella di Gesù ai poveri, bisogna inserirsi dove vivono gli ultimi. Io per questo ho scelto il sud d’Italia e una delle periferie interne di Napoli, il rione Sanità. Per fare che cosa? Incontri quotidiani con la gente, lavorando insieme a padre Arcadio Sicher, missionario francescano che ha vissuto con me a Korogocho e in una baraccopoli di Accra (Ghana), e a Felicetta Parisi, laica consacrata.
In una situazione come questa è fondamentale esserci, vivere direttamente quello che avviene, costruire con la gente un cammino di dignità. Penso ai tanti bambini che, venendo da famiglie disastrate, abbandonano la scuola già alle elementari. Come si fa a non sentire la necessità di dare loro un futuro? [segue]

Oggi mercoledì 31 luglio 2019

lampadadialadmicromicroEstate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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Sardegna. A tutto gas, un domani migliore?
31 Luglio 2019
Pietro Casula su Democraziaoggi.
Da Neuss (Renania Settentrionale-Vestfalia, in Germania) il rappresentante del “Movimento per la Sardegna – Sardi nel mondo” ci invia questo intervento, che volentieri pubblichiamo.
Spesso quello che più ci interessa, che più ci avvince non è tanto lo statement rilasciato dal tal politico, quanto il dibattito che ne consegue.
Così come nei giorni scorsi il […]
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Viesti: «Lo Spacca Italia è l’inizio di un processo irreversibile»
31 Luglio 2019, su Democraziaoggi.
La secessione dei ricchi. Autonomia differenziata, intervista all’economista Gianfranco Viesti: “Questa strada si sa dove comincia, ma nessuno sa dove finisce. Se l’intesa passa si apre uno scenario incognito. E non ci sarà la possibilità di un referendum abrogativo” […]
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austerity_vignetta-1-800x445Spunti contro il pareggio di bilancio a difesa dei diritti fondamentali
31 Luglio 2019
Red su Democraziaoggi.
Il Comitato per la democrazia costituzionale, fra le altre, ha avviato un’iniziativa popolare per la modifica degli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l’equilibrio di bilancio (il principio del “pareggio di bilancio”), al fine di salvaguardare i diritti fondamentali della persona.
La relazione illustrativa offre molti punti di riflessione sul tema. Eccola. […]

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Autonomia differenziata, Conte riconosce al parlamento il ruolo del notaio
31 Luglio 2019, su Democraziaoggi.
La secessione dei ricchi. Il premier: il governo trasmetterà alle camere le pre-intese con i governatori e la maggioranza Lega-Cinque Stelle per avere un parere […]
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RWM

Rwm. Governo blocca l’esportazione e il transito di bombe e missili
30 Luglio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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(imbarco a Elmas di bombe per l’Arabia saudita: quanti bambini hanno fatto a pezzi?)

Stamane alle 12 in punto ero al Tar, continuando la battaglia giudiziaria contro RWM, Comune di Iglesias e Regione sul raddoppio degli impianti di produzione di bombe. Ho rinviato l’inizio delle ferie, ma ero lì, con mio figlio Paolo, per assistere al giuramento del perito d’ufficio. Ho detto al giudice che la causa probabilmente avrebbe perso senso perché il governo aveva annunciato il blocco delle esportazioni delle bombe made Domusnovas. Non sapevo che il governo aveva provveduto in contemporanea allo stop. Non sapevo che la RWM aveva già rivolto un appello ai lavoratori della fabbrica annunciando l’ordine del governo.
Ero turbato nell’aula di giustizia perché lì si discuteva del carattere chimico o meno della produzione di Domusnovas, elemento decisivo per vincere o perdere la causa. Pensavo che in un paese serio, che ha l’art. 11 della Costituzione, che ripudia la guerra, i dirigenti della fabbrica avrebbero dovuto essere alla sbarra per concorso in crimini di guerra. Capito c’è concorso in crimini contro l’umanità, secondo la risoluzione del Consiglio d’Europa, e noi lì a discettare se c’è o non processo chimico nella produzione delle bombe! [segue]

Economia planetaria

75° ACCORDI DI BRETTON WOODS
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di Roberta Carlini su Rocca.

La seconda guerra mondiale non era ancora vinta. La guerra fredda non era ancora cominciata. La devastazione di vite non si era ancora rivelata nella sua enormità. Ma c’era anche la distruzione economica, da affrontare: l’economia mondiale aveva subìto le perdite più ingenti della storia del capitalismo.
Fu in questa temperie che, esattamente 75 anni fa, nacquero gli accordi di Bretton Woods, dal nome della località del New Hampshire nella quale i rappresentanti delle potenze che stavano sconfiggendo il nazismo gettarono le basi del nuovo ordine economico internazionale nella conferenza che si svolse dal primo al 22 luglio del 1944. Il sistema di Bretton Woods nacque all’insegna della cooperazione, come strumento per meglio tutelare gli interessi nazionali: queste le parole usate dall’allora segretario al Tesoro degli Stati Uniti.
Sostanzialmente voleva dire: dobbiamo cooperare, ci conviene. Non era un accordo di pace, né una trattativa ispirata da princìpi etici internazionalisti: gli Stati delle Nazioni Unite (44 nazioni, 730 delegati) dovevano mettere in piedi le istituzioni del sistema finanziario, monetario ed economico internazionale. E le lezioni della Grande Recessione del ’29, dei totalitarismi che ne erano seguiti e della guerra, spinsero verso la strada della collaborazione.
I due protagonisti indiscussi della conferenza furono il delegato Usa Henry Dexter White e quello inglese John Maynard Keynes. La statura intellettuale di quest’ultimo era riconosciuta, ma la sua autorevolezza non bastò a far passare il piano inglese, che voleva una integrazione monetaria più stretta tra i Paesi occidentali – un sistema che di fatto avrebbe portato a un embrione di moneta mondiale. Laddove il piano americano – che vinse – faceva ruotare tutto il sistema attorno a un centro, il dollaro.
Le pagine di quella grande discussione sono quelle di un libro di storia, ma anche di un trattato di economia, e di geopolitica, con le due potenze vincitrici – Stati Uniti e Gran Bretagna – l’una in ascesa e l’altra in declino nel potere economico mondiale. Non solo: raramente nella storia è capitato a un grande pensatore di poter mettere alla prova le proprie teorie e provare a farle attuare dai governi più potenti del mondo: successe a John Keynes, raffinatissimo e pragmatico intellettuale che si trovò a fronteggiare pensieri meno forti ma interessi più potenti di quelli del «suo» governo.

una costituzione contro i sovranismi
Il 22 luglio del 1944 nacque dunque il «sistema di Bretton Woods». Il cui principale obiettivo era rimediare ai due mali che avevano colpito l’economia (e la politica) nei decenni precedenti, tutti e due legati ai rapporti economici tra gli Stati nazionali: l’instabilità finanziaria, derivante dalle altalene dei cambi, da un lato; le politiche commerciali restrittive con i protezionismi, dall’altro.
Con le parole di oggi, diremmo che i politici di Bretton Woods scrissero una costituzione contro i sovranismi. Tecnicamente, il sistema prevedeva l’ancoraggio delle monete al dollaro (che a sua volta restava convertibile in oro, di qui il nome di Gold Exchange Standard), dunque introduceva i cambi fissi: la moneta americana era il centro del pianeta valutario, attorno alla sua orbita le altre dovevano muoversi con un accordo per interventi concertati per evitare svalutazioni e rivalutazioni eccessive. Parallelamente nacquero Fondo Monetario Internazionale (stanza di compensazione degli squilibri tra monete) e Banca Mondiale, inizialmente dedita alla concessione di prestiti per la ricostruzione nell’Europa distrutta e poi, più in generale, al finanziamento dello sviluppo economico, in particolare in Asia, Africa e America latina.

crisi dell’egemonia americana
Era un sistema che rifletteva un equilibrio politico: la vittoria americana. Che poneva le basi per un dominio economico: quello degli Stati Uniti, con il loro sistema produttivo. Che era ispirato a una ideologia, basata sul libero commercio all’interno e tra gli Stati. Un sistema che non ha retto alle ondate d’urto dei cambiamenti delle condizioni storiche, sociali, economiche: lo choc più importante, prima di quello attuale, avvenne nel 1971, quando l’allora presidente statunitense Nixon annunciò – era il 15 agosto – la fine della convertibilità del dollaro in oro. Tempo due anni, e il sistema dei cambi fissi fu abbandonato, a favore di un regime di cambi flessibili.
L’egemonia americana sull’economia mondiale c’era ancora, ma il mondo si stava muovendo. L’Europa cominciò allora la sua strategia di più stretta unificazione economica e poi monetaria. Doveva ancora arrivare il grande crollo dell’Unione sovietica, l’ascesa della globalizzazione prima e della potenza cinese poi. Ma le istituzioni di Bretton Woods – Fondo monetario e Banca mondiale – sono ancora là, alle prese con un contesto completamente cambiato. Ideologicamente, sono state per trent’anni (dagli anni ’80 del secolo scorso ai nostri anni Dieci) il cuore pulsante del cosiddetto «consenso di Washington», basato sull’idea del libero mercato e della ritirata dei governi dall’economia e sull’esportazione di questa ricetta a tutto il mondo abitato.
Un altro pilastro di tale «consenso» sono stati gli accordi per la liberalizzazione del commercio, prima in seno al Gatt (nato subito dopo Bretton Woods) e poi con la nascita della Wto (World Trade Organization, 1995). Ma proprio con il passaggio del millennio il «consenso di Washington» è stato oggetto di autocritica, nelle stesse istituzioni internazionali, per la crescente instabilità finanziaria e insostenibilità sociale.

avvento del sovranismo
Il terzo millennio si è aperto all’insegna di una diffusa contestazione all’ordine economico mondiale nato a Bretton Woods: che non era più lo stesso di allora, dato che nel 1944, e per il trentennio successivo, forme di compromesso nazionale tra Stato e mercato avevano caratterizzato fortemente molte economie e molti sistemi politici, mentre poi la visione neoliberista, e le relative ricette di politica economica, avevano dominato. Per essere poi superate nel momento del massimo apparente trionfo: la globalizzazione, pur realizzando in qualche modo i princìpi di Bretton Woods, stava squassando gli equilibri di potere tra Stati e il consenso al loro interno; insieme all’impatto della rivoluzione tecnologica sulla produzione, sul consumo e sugli stessi sistemi democratici.
L’opposizione alla globalizzazione iniziò a Seattle nel ’99, proprio in occasione della conferenza Wto, ed era sociale, politica, radicata a sinistra. Quella opposizione ha perso, non è diventata egemone né ha conquistato il potere. Adesso, l’opposizione alla globalizzazione e alle «centrali» dell’economia internazionale – al sistema di Bretton Woods, possiamo dire – prende la forma e la sostanza del cosiddetto «sovranismo»: il ritorno alla difesa degli interessi degli Stati nazionali dentro i confini degli Stati stessi.

fattori di scontento
Motivo per cui il settantacinquesimo compleanno di Bretton Woods cade in un momento in cui lo «spirito di Bretton Woods» è lontanissimo. In crisi il libero commercio, frenata la globalizzazione, rialzate le barriere doganali, riprese le guerre valutarie, affossata la pratica della cooperazione. Da dove viene tutto questo scontento? Un autorevole commentatore dell’economia internazionale, Martin Wolf, ha scritto sul Financial Times: «l’emersione di questo spirito totalmente differente conseguenza dei cambiamenti economici che hanno minato la fiducia sia nell’idea di un’economia mondiale aperta che nelle persone e nelle istituzioni che la amministrano. Fattori importanti sono stati, nei Paesi ad alto reddito, la deindustrializzazione, la crescente diseguaglianza, il rallentamento nella crescita della produttività e lo choc di crisi finanziarie inattese. Oggi, al contrario che 40 anni fa, sono i cittadini dei Paesi ad alto reddito, non quelli del mondo emergente, che sono i più sospettosi riguardo all’integrazione economica globale».
Ancora una volta i numeri-chiave sono quelli delle diseguaglianze economiche e sociali, cresciute nel mondo ricco. La parte del mondo che prima definivamo «terzo», oppure «Paesi in via di sviluppo», ha sperimentato una crescita economica, forte soprattutto in Asia. La povertà si è ridotta. Dal 1950 al 2015 la percentuale di popolazione mondiale che vive con meno di 2 dollari al giorno – condizione che è definita di «estrema povertà» – si è ridotta del 75%. È emersa una classe media cinese e asiatica. Ma parallelamente, soprattutto dopo la grande crisi del 2008, nel mondo industrializzato è aumentata la povertà, sono cresciute le diseguaglianze e la classe media – il ceto sociale portante del patto sociale – o si è impoverito o ha percepito e percepisce un rischio di impoverimento, una mancanza di prospettive per i propri figli.
Politicamente, il terremoto è cominciato con lo choc del voto sulla Brexit, poi con l’elezione di Trump, e man mano con il dilagare della rivolta nazional-populista in Europa – Italia in testa.
I governanti eletti con il mandato di tornare indietro, rialzare le barriere, invertire una globalizzazione che non porta consenso all’interno dei Paesi ricchi, provano a mettere in atto queste agende con alterne fortune. Per ora, non hanno portato ad alcun miglioramento materiale nella vita dei perdenti della globalizzazione che li hanno votati, ma sono riusciti benissimo a incanalare il loro scontento e cavalcare la loro rabbia.
Dal canto loro, le istituzioni di Bretton Woods, pur avendo portato avanti al proprio interno riflessioni autocritiche, aprendo la loro ricerca alle nuove sensibilità sulle diseguaglianze e sull’emergenza ambientale, non sono affatto riuscite a invertire né la rotta delle politiche né quella del consenso. È vero, alcuni passi avanti sulla stabilizzazione della finanza sono stati fatti – perché necessari, pena il collasso del sistema. Ma sulle emergenze sociali, sulla necessità di compensare le vittime della globalizzazione e soprattutto di redistribuire più equamente i suoi profitti, niente si è mosso.
Oggi come settantacinque anni fa il mondo avrebbe bisogno di istituzioni e cooperazione internazionale, ma con una riforma proveniente dal basso e una radicale innovazione nella cassetta degli attrezzi. Ma siamo molto lontani dall’una e dall’altra condizione, la protesta che viene dal basso, dai popoli, chiede meno cooperazione e ritorno dei confini, mentre sugli strumenti delle politiche si continua con i vecchi arnesi.
Roberta Carlini
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da sinistra M.S. Stepanov, John Maynard Keynes e Vladimir Rybar
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ROCCA 15 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2019
75° ACCORDI DI BRETTON WOODS

Stop (momentaneo) alla fabrica delle armi. Avanti con le iniziative per la sua riconversione!

Riceviamo da Marco Mameli, dirigente della CSS e dell’Assotziu Consumadoris Sardigna, la seguente nota con allegato il comunicato della RWM. La strada obbligata è come sostenuto da sempre quella della riconversione della fabbrica RWM per lavorazioni legittime, che non creino strumenti di morte. Per questo occorrono interventi importanti dallo Stato italiano, dall’Unione Europea e dalla Regione Autonoma della Sardegna. Avanti uniti nell’interesse dei lavoratori e del popolo sardo, per la pace e la solidarietà nel mondo!
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Copia del comunicato della Direzione della RWM ai dipendenti della sospensione delle esportazioni delle “BOMBE DI AEREO E LORO COMPONENTI VERSO L’ARABIA SAUDITA E GLI EMIRATI ARABI UNITI” decisione del Governo e del Parlamento. SOSPESE TUTTE LE LICENZE. – Basta bombe – Basata pane avvelenato – Riconvertire la fabbrica delle bombe di Domusnovas – Iglesias é possibile.
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[Per connessione] STOP ALLE ARMI ITALIANE DIRETTE NELLO YEMEN
Il CPIA di Cagliari, centro di formazione per adulti, ha sottoscritto un appello contro la fabbrica RWM che da anni vende armamenti all’Arabia Saudita, responsabili poi di stragi di civili. Un’azione che è contro i Diritti dell’Uomo e la Costituzione italiana
25/07/2019

di Fulvia Degl’Innocenti, su Famiglia Cristiana.
Fonte

La storia della medicina

piero-di-liciadi Piero Marcialis
29. Ambroise Paré.

Nacque a Laval nel 1510, da umilissima famiglia, padre barbiere e madre prostituta. La sorella Caterina sposò Gaspard Martin, barbiere cerusico a Parigi; barbiere cerusico anche il fratello Giovanni che esercitava a Vitre’ in Bretagna.
Con questa parentela divenne anch’egli chirurgo-barbiere, ma a Parigi si concentrò sul solo lavoro di chirurgo e ottenne un posto nel grande Hotel-Dieu, dove rimase tre anni.
Fece poi esperienze preziose seguendo l’esercito in numerose campagne.
Nel 1537 è con Francesco I nell’invasione del Piemonte, quando ormai è in uso la polvere da sparo.
A Torino, nella cura delle ferite, sostituì una crema emolliente improvvisata all’olio bollente, come allora si usava, e scoprì che era il sistema migliore: “decisi quindi di non ustionare più i poveretti colpiti da armi da fuoco”, poiché tali ferite non avevano alcun carattere velenoso.
Seguono esperienze di ogni genere in Bretagna, poi a Boulogne, e ancora in Germania.
Scopre la possibilità di sostituire al cauterio l’allacciatura dei vasi, come misura emostatica nelle amputazioni.
Nel 1554, data la fama acquistata, fu infine ammesso nella esclusiva confraternita del Collegio di San Cosma, come flebotomo e chirurgo, benché non sapesse di latino.
Nel 1559 si stabilisce definitivamente a Parigi.
In quell’anno cerca di curare Enrico II, ferito nel corso di un torneo amichevole, gli è compagno addirittura Andrea Vesalio, chiamato appositamente. Ma è invano.
Enrico muore e lascia vedova la famosa Caterina de’ Medici, che governerà sui figli e sulla Francia.
Nelle terribili ore della Notte di S.Bartolomeo (23 e 24 agosto 1572, vedi Aladin pensiero 24 agosto 2013), Paré assiste il capo ugonotto ammiraglio Gaspard de Coligny, ferito a morte da un criminale, e si trova egli stesso in pericolo: è lo stesso Carlo IX, figlio di Caterina, che gli dà rifugio nelle sue stanze. [segue]

Oggi martedì 30 luglio 2019

lampadadialadmicromicroEstate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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Esperienze giudiziarie su presunte violenze su minori
30 Luglio 2019.
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Nella mia esperienza professionale ho avuto l’occasione di occuparmi di casi di (ipotetica) violenza sessuale sui minori e sono stati tutti casi agghiaccianti.
Il primo riguardava un giovane lavoratore di P. Vesme, accusato da una ragazzina del suo palazzo di violenza sessuale. La denuncia di questa adolescente fu presentata mentre divampava una morbosa campagna di […]
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Perché l’autonomia differenziata fa molto male alla salute
Loretta Mussi Il Manifesto 17.7.2019.
30 Luglio 2019, su Democraziaoggi.
Sanità. Tutti i parametri sarebbero toccati dalla riforma: sicurezza dei lavoratori, degli alimenti, dell’ambiente. Le scuole specialistiche e i contratti del personale
[…]
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La storia della medicina

piero-di-liciadi Piero Marcialis, su fb.
28. Eustachio.
bartolomeus_eustachiusBartolomeo Eustachi nasce a S. Severino Marche, un anno imprecisato tra il 1500 e il 1510.
Studia medicina alla Sapienza di Roma, protomedico alla corte di Urbino, torna a Roma come medico del cardinale Giulio della Rovere, diventa protomedico dello Stato Pontificio e infine nel 1555 ottiene la cattedra di anatomia alla Sapienza.
Seguace di Galeno (forse perché nell’ambiente romano non si poteva fare diversamente) nell’attività scientifica il suo metodo di lavoro non diverge da quello di Vesalio e Falloppio. [segue]

Contus de Stampaxi. Zio Nino, il Repubblicano.

Giusto oggi i nostri amici nazionalisti senza attendere adempimenti burocratici dello stato oppressore potrebbero chiamare il corso Vittorio Emanuele corso Martiri di Palabanda,come ci ha insegnato zio Nino. [emmegir]
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7fbb7951-7cbe-4c56-b794-57c207804ff7Zio Nino era decisamente un’anomalia per la nostra famiglia, cattolicissima e ovviamente in politica democristiana. Infatti era ex partigiano, comunista e naturalmente avverso ai preti. Viveva in Toscana dove aveva messo su famiglia. Tuttavia era attaccatissimo alla sua terra sarda, a Cagliari e alla famiglia d’origine, in particolare a sua sorella Annetta, mia madre, la più piccola di cinque tra fratelli (tre) e sorelle (due). Come si usava all’epoca tra zio Nino e mamma vi erano frequentissimi rapporti epistolari, a dire il vero soprattutto da parte di zio Nino che scriveva di regola una lettera a settimana, alle quali mamma rispondeva con meno solerzia. [segue]

Oggi lunedì 29 luglio 2019

lampadadialadmicromicroEstate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2 senza-titolo1
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Il taglio dei parlamentari apre a derive presidenzialiste
29 Luglio 2019
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.

Il fronte dell’antipolitica conta su una reazione opportunista e difensiva sulla riduzione dei parlamentari. In sostanza è convinta che saranno pochi ad avere il coraggio di affrontare una battaglia come questa su un terreno certamente non facile. Al contrario, è giunto il momento di superare i timori sul merito, dicendo No in modo […]

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Il “franco CFA” anacronistico ma utile alla Francia neocoloniale
29 Luglio 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Il “franco CFA” è una moneta in circolazione dal 1945; esso ha consentito alla Francia di conservare il controllo delle economie della maggior parte dei Paesi africani che facevano parte del suo impero coloniale; un controllo che ha consentito all’economia transalpina di disporre di un accesso privilegiato ai mercati africani e di disporre di […]
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Firmiamo!

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La storia della medicina

piero-di-liciadi Piero Marcialis, su fb.
27. Gabriele Falloppio.

Ad Andrea Vesalio successe a Padova Realdo Colombo, che ebbe tra i suoi allievi colui che presto ne avrebbe ottenuto la cattedra: Gabriele Falloppio, modenese (1523-1562).
Egli riprese il lavoro di Andrea Vesalio e fu altrettanto o anche più avverso alle idee superate di Galeno.
Insegnò farmacia a Ferrara (1547); anatomia a Pisa (1548); anatomia, chirurgia e botanica a Padova (dal 1551 alla morte).
Autore di notevoli scoperte, quali il “condotto delle acque” o acquedotto del vestibolo nell’anatomia dell’orecchio, e le trombe uterine (tube di Falloppio).
(Segue)