Economia planetaria

75° ACCORDI DI BRETTON WOODS
accordi-di-bwcooperazione da reinventare
di Roberta Carlini su Rocca.

La seconda guerra mondiale non era ancora vinta. La guerra fredda non era ancora cominciata. La devastazione di vite non si era ancora rivelata nella sua enormità. Ma c’era anche la distruzione economica, da affrontare: l’economia mondiale aveva subìto le perdite più ingenti della storia del capitalismo.
Fu in questa temperie che, esattamente 75 anni fa, nacquero gli accordi di Bretton Woods, dal nome della località del New Hampshire nella quale i rappresentanti delle potenze che stavano sconfiggendo il nazismo gettarono le basi del nuovo ordine economico internazionale nella conferenza che si svolse dal primo al 22 luglio del 1944. Il sistema di Bretton Woods nacque all’insegna della cooperazione, come strumento per meglio tutelare gli interessi nazionali: queste le parole usate dall’allora segretario al Tesoro degli Stati Uniti.
Sostanzialmente voleva dire: dobbiamo cooperare, ci conviene. Non era un accordo di pace, né una trattativa ispirata da princìpi etici internazionalisti: gli Stati delle Nazioni Unite (44 nazioni, 730 delegati) dovevano mettere in piedi le istituzioni del sistema finanziario, monetario ed economico internazionale. E le lezioni della Grande Recessione del ’29, dei totalitarismi che ne erano seguiti e della guerra, spinsero verso la strada della collaborazione.
I due protagonisti indiscussi della conferenza furono il delegato Usa Henry Dexter White e quello inglese John Maynard Keynes. La statura intellettuale di quest’ultimo era riconosciuta, ma la sua autorevolezza non bastò a far passare il piano inglese, che voleva una integrazione monetaria più stretta tra i Paesi occidentali – un sistema che di fatto avrebbe portato a un embrione di moneta mondiale. Laddove il piano americano – che vinse – faceva ruotare tutto il sistema attorno a un centro, il dollaro.
Le pagine di quella grande discussione sono quelle di un libro di storia, ma anche di un trattato di economia, e di geopolitica, con le due potenze vincitrici – Stati Uniti e Gran Bretagna – l’una in ascesa e l’altra in declino nel potere economico mondiale. Non solo: raramente nella storia è capitato a un grande pensatore di poter mettere alla prova le proprie teorie e provare a farle attuare dai governi più potenti del mondo: successe a John Keynes, raffinatissimo e pragmatico intellettuale che si trovò a fronteggiare pensieri meno forti ma interessi più potenti di quelli del «suo» governo.

una costituzione contro i sovranismi
Il 22 luglio del 1944 nacque dunque il «sistema di Bretton Woods». Il cui principale obiettivo era rimediare ai due mali che avevano colpito l’economia (e la politica) nei decenni precedenti, tutti e due legati ai rapporti economici tra gli Stati nazionali: l’instabilità finanziaria, derivante dalle altalene dei cambi, da un lato; le politiche commerciali restrittive con i protezionismi, dall’altro.
Con le parole di oggi, diremmo che i politici di Bretton Woods scrissero una costituzione contro i sovranismi. Tecnicamente, il sistema prevedeva l’ancoraggio delle monete al dollaro (che a sua volta restava convertibile in oro, di qui il nome di Gold Exchange Standard), dunque introduceva i cambi fissi: la moneta americana era il centro del pianeta valutario, attorno alla sua orbita le altre dovevano muoversi con un accordo per interventi concertati per evitare svalutazioni e rivalutazioni eccessive. Parallelamente nacquero Fondo Monetario Internazionale (stanza di compensazione degli squilibri tra monete) e Banca Mondiale, inizialmente dedita alla concessione di prestiti per la ricostruzione nell’Europa distrutta e poi, più in generale, al finanziamento dello sviluppo economico, in particolare in Asia, Africa e America latina.

crisi dell’egemonia americana
Era un sistema che rifletteva un equilibrio politico: la vittoria americana. Che poneva le basi per un dominio economico: quello degli Stati Uniti, con il loro sistema produttivo. Che era ispirato a una ideologia, basata sul libero commercio all’interno e tra gli Stati. Un sistema che non ha retto alle ondate d’urto dei cambiamenti delle condizioni storiche, sociali, economiche: lo choc più importante, prima di quello attuale, avvenne nel 1971, quando l’allora presidente statunitense Nixon annunciò – era il 15 agosto – la fine della convertibilità del dollaro in oro. Tempo due anni, e il sistema dei cambi fissi fu abbandonato, a favore di un regime di cambi flessibili.
L’egemonia americana sull’economia mondiale c’era ancora, ma il mondo si stava muovendo. L’Europa cominciò allora la sua strategia di più stretta unificazione economica e poi monetaria. Doveva ancora arrivare il grande crollo dell’Unione sovietica, l’ascesa della globalizzazione prima e della potenza cinese poi. Ma le istituzioni di Bretton Woods – Fondo monetario e Banca mondiale – sono ancora là, alle prese con un contesto completamente cambiato. Ideologicamente, sono state per trent’anni (dagli anni ’80 del secolo scorso ai nostri anni Dieci) il cuore pulsante del cosiddetto «consenso di Washington», basato sull’idea del libero mercato e della ritirata dei governi dall’economia e sull’esportazione di questa ricetta a tutto il mondo abitato.
Un altro pilastro di tale «consenso» sono stati gli accordi per la liberalizzazione del commercio, prima in seno al Gatt (nato subito dopo Bretton Woods) e poi con la nascita della Wto (World Trade Organization, 1995). Ma proprio con il passaggio del millennio il «consenso di Washington» è stato oggetto di autocritica, nelle stesse istituzioni internazionali, per la crescente instabilità finanziaria e insostenibilità sociale.

avvento del sovranismo
Il terzo millennio si è aperto all’insegna di una diffusa contestazione all’ordine economico mondiale nato a Bretton Woods: che non era più lo stesso di allora, dato che nel 1944, e per il trentennio successivo, forme di compromesso nazionale tra Stato e mercato avevano caratterizzato fortemente molte economie e molti sistemi politici, mentre poi la visione neoliberista, e le relative ricette di politica economica, avevano dominato. Per essere poi superate nel momento del massimo apparente trionfo: la globalizzazione, pur realizzando in qualche modo i princìpi di Bretton Woods, stava squassando gli equilibri di potere tra Stati e il consenso al loro interno; insieme all’impatto della rivoluzione tecnologica sulla produzione, sul consumo e sugli stessi sistemi democratici.
L’opposizione alla globalizzazione iniziò a Seattle nel ’99, proprio in occasione della conferenza Wto, ed era sociale, politica, radicata a sinistra. Quella opposizione ha perso, non è diventata egemone né ha conquistato il potere. Adesso, l’opposizione alla globalizzazione e alle «centrali» dell’economia internazionale – al sistema di Bretton Woods, possiamo dire – prende la forma e la sostanza del cosiddetto «sovranismo»: il ritorno alla difesa degli interessi degli Stati nazionali dentro i confini degli Stati stessi.

fattori di scontento
Motivo per cui il settantacinquesimo compleanno di Bretton Woods cade in un momento in cui lo «spirito di Bretton Woods» è lontanissimo. In crisi il libero commercio, frenata la globalizzazione, rialzate le barriere doganali, riprese le guerre valutarie, affossata la pratica della cooperazione. Da dove viene tutto questo scontento? Un autorevole commentatore dell’economia internazionale, Martin Wolf, ha scritto sul Financial Times: «l’emersione di questo spirito totalmente differente conseguenza dei cambiamenti economici che hanno minato la fiducia sia nell’idea di un’economia mondiale aperta che nelle persone e nelle istituzioni che la amministrano. Fattori importanti sono stati, nei Paesi ad alto reddito, la deindustrializzazione, la crescente diseguaglianza, il rallentamento nella crescita della produttività e lo choc di crisi finanziarie inattese. Oggi, al contrario che 40 anni fa, sono i cittadini dei Paesi ad alto reddito, non quelli del mondo emergente, che sono i più sospettosi riguardo all’integrazione economica globale».
Ancora una volta i numeri-chiave sono quelli delle diseguaglianze economiche e sociali, cresciute nel mondo ricco. La parte del mondo che prima definivamo «terzo», oppure «Paesi in via di sviluppo», ha sperimentato una crescita economica, forte soprattutto in Asia. La povertà si è ridotta. Dal 1950 al 2015 la percentuale di popolazione mondiale che vive con meno di 2 dollari al giorno – condizione che è definita di «estrema povertà» – si è ridotta del 75%. È emersa una classe media cinese e asiatica. Ma parallelamente, soprattutto dopo la grande crisi del 2008, nel mondo industrializzato è aumentata la povertà, sono cresciute le diseguaglianze e la classe media – il ceto sociale portante del patto sociale – o si è impoverito o ha percepito e percepisce un rischio di impoverimento, una mancanza di prospettive per i propri figli.
Politicamente, il terremoto è cominciato con lo choc del voto sulla Brexit, poi con l’elezione di Trump, e man mano con il dilagare della rivolta nazional-populista in Europa – Italia in testa.
I governanti eletti con il mandato di tornare indietro, rialzare le barriere, invertire una globalizzazione che non porta consenso all’interno dei Paesi ricchi, provano a mettere in atto queste agende con alterne fortune. Per ora, non hanno portato ad alcun miglioramento materiale nella vita dei perdenti della globalizzazione che li hanno votati, ma sono riusciti benissimo a incanalare il loro scontento e cavalcare la loro rabbia.
Dal canto loro, le istituzioni di Bretton Woods, pur avendo portato avanti al proprio interno riflessioni autocritiche, aprendo la loro ricerca alle nuove sensibilità sulle diseguaglianze e sull’emergenza ambientale, non sono affatto riuscite a invertire né la rotta delle politiche né quella del consenso. È vero, alcuni passi avanti sulla stabilizzazione della finanza sono stati fatti – perché necessari, pena il collasso del sistema. Ma sulle emergenze sociali, sulla necessità di compensare le vittime della globalizzazione e soprattutto di redistribuire più equamente i suoi profitti, niente si è mosso.
Oggi come settantacinque anni fa il mondo avrebbe bisogno di istituzioni e cooperazione internazionale, ma con una riforma proveniente dal basso e una radicale innovazione nella cassetta degli attrezzi. Ma siamo molto lontani dall’una e dall’altra condizione, la protesta che viene dal basso, dai popoli, chiede meno cooperazione e ritorno dei confini, mentre sugli strumenti delle politiche si continua con i vecchi arnesi.
Roberta Carlini
————-
da sinistra M.S. Stepanov, John Maynard Keynes e Vladimir Rybar
————-
rocca-16-17-2019
ROCCA 15 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2019
75° ACCORDI DI BRETTON WOODS

One Response to Economia planetaria

  1. […] ACCORDI DI BRETTON WOODS cooperazione da reinventare di Roberta Carlini su Rocca. Ripubblicazione su Editoriale Aladinpensiero. […]

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>