Vent’anni di Monumenti Aperti tra gioia e condivisione
di Carla Deplano
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Per la ventesima edizione di Monumenti Aperti, Imago Mundi ci chiede di guidare l’approccio alla preparazione delle visite guidate in base a tre parole chiave: Memoria, Gioia e Condivisione.
Il mio personale auspicio per questa edizione straordinaria è che docenti e discenti possano contribuire fattivamente – nei limiti spazio-temporali della manifestazione – alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale locale e, insieme, allo sviluppo di un benessere individuale e sociale teso ad un miglioramento della qualità di vita, suggerendo nuovi percorsi ed aprendo nuovi dialoghi.
A parte la memoria delle esperienze scolastiche pregresse, un tema scelto dal comitato di Monumenti Aperti per questa particolare edizione festosa ed autocelebrativa è quello della GIOIA.
Ora, facendo riferimento al campo della Psicologia dell’arte mi vengono subito in mente alcune considerazioni di carattere teorico, ma facilmente riscontrabili nell’osservazione diretta dell’atteggiamento e della predisposizione mentale e d’animo del pubblico nella fruizione dell’arte e dei beni culturali in generale.
Ne anticipo qualcuna, che ha rappresentato la base di partenza per riflessioni e considerazioni più prosaiche e applicabili al contesto scolastico.
Freud interpretava l’arte come appagamento del desiderio, che derivava da sogni/proiezioni/pulsioni/bisogni inappagati e che portava naturalmente verso un processo di immedesimazione/empatia/gratificazione del pubblico noto come sublimazione. Il pubblico, attraverso l’arte, otterrebbe in tal senso, nel mondo della finzione, una soddisfazione dei propri impellenti bisogni e delle proprie tendenze biologiche, che coinciderebbero con quelli dell’artista. - segue –
Più in generale, l’arte suscita emozioni profonde perché il processo creativo deriva da processi mentali consci ed inconsci. Il sentimento estetico è una sorta di piacere preliminare, che stimola il bisogno di un piacere più intenso e completo in cui si soddisfa il bisogno, rimandando al cosiddetto motto di spirito freudiano, per cui il piacere deriva da una serie di procedimenti di origine infantile.
E qui entra in gioco il cosiddetto perturbante freudiano, ovvero il ritorno del rimosso e dell’inconscio rappresentato. Quando, in altri termini, contempliamo l’arte, quando ne siamo catturati dalla bellezza, l’opera ci evoca esperienze emozionali e vicende personali antiche e rimosse o dimenticate, quindi non codificate e non simbolizzate, che trovano nell’opera la simbolizzazione o messa in forma di un’esperienza emozionale.
Da un punto di vista pedagogico, l’antico patrimonio esperienziale così ritrovato apre una prospettiva alla crescita della personalità perché diventa nuovo e dotato di una sua fisionomia e forma grazie alla fruizione artistica, mentre prima giaceva ad un livello inconscio privo di elaborazione mentale, come materiale informe caotico disturbante e alienante. La mentalizzazione, cioè la riorganizzazione dell’esperienza in simboli e rappresentazioni, dà quindi forma alla percezione del caos determinando, così, piacere estetico.
D’altra parte, le fonti del piacere estetico – a parte quelle sensuali (come ritmo e suono) – sono il senso dell’ordine e dell’armonia delle idee rappresentate. Il piacere deriverebbe, insomma, dalla contemplazione delle relazioni formali trasferite su un piano ideazionale.
Concretamente, si possono constatare due predisposizioni e tendenze negli spettatori, che coinvolgono i due emisferi del cervello e quindi l’aspetto razionale, ma anche l’aspetto intuitivo-emozionale. Da una parte abbiamo l’approccio cognitivo, volto all’apprendimento, all’arricchimento culturale (in contesti per lo più antichi e lontani nel tempo come i siti archeologici); dall’altra l’approccio emozionale-edonico, volto al procuramento di piacere, divertimento ed altre sensazioni ed emozioni positive, che presentano valori più elevati nel tratto di personalità sensation seeking orientate alla ricerca di sensazioni più o meno forti (maggiormente legato alla fruizione di beni culturali più vicini nel tempo, come Gallerie e Musei d’arte moderna e contemporanea).
Mi viene in mente che una volta Uto Ughi disse che suonare per lui fosse equivalente al fare l’amore. Effettivamente, dopo una mostra o un concerto particolarmente coinvolgenti ed emozionanti il corpo e la mente, sollecitati dal piacere provato, sono più ricettivi e stimolati verso un prolungamento del piacere. In una misura compensativa direttamente proporzionale allo sforzo del processo interpretativo-percettivo impiegato dal fruitore dell’arte: il paragone con la “conquista” di una donna “facile” è presto fatto!
Le più recenti ricerche del campo della neuroestetica non fanno che mettere in connessione la salute psicofisica con la cultura, e con l’arte in particolare. Tra gli altri, il ricercatore americano Harold J. Dupuy ha verificato come attraverso la contemplazione di un’opera d’arte il cervello rilasci dopamina, il neurotrasmettitore preposto alla regolazione dell’umore: la bellezza provoca emozioni che influiscono sulla mente anche più dei farmaci.
Che la fruizione dell’arte abbia effetti benefici sull’umore è dimostrato da tanti altri studi, come quello della Norwegian University of Science and Tecnology di Trondheim in Norvegia, pubblicato dalla rivista di epidemiologia Journal of Epidemiology and Community Health. Il risultato dello ricerca spiega come la contemplazione di un’opera d’arte riduca in maniera significativa ansia e depressione, mentre contemporaneamente aumenta la sensazione di soddisfazione per la propria vita.
Più in generale, l’arte, e con essa la possibilità di fruire dei beni culturali, si rivela un ottimo strumento per sviluppare le proprie competenze in termini di pensiero creativo, fiducia, problem solving e capacità di costruire relazioni efficaci.
Per quanto riguarda l’altra parola-chiave – CONDIVISIONE – è assodato come si instauri una relazione tra il Sè e l’Altro (oggetto o soggetto che sia) all’interno di un manifestarsi di un dentro e un fuori, di un’anima e un corpo, di un’interiorità in un’esteriorità. Si crea, in altre parole un’azione virtuosa di mutuo rimando tra interiorità ed esteriorità nell’opera d’arte che è la stessa che si produce quando un soggetto incontra nell’esperienza un altro soggetto, quando empatizza inter-soggettivamente, immedesimandosi fino ad annullare la sua distanza con l’Altro.
Concretamente, posso dire di aver sempre constatato la forte valenza non solo pedagogica, ma proprio socializzante, dell’arte. Dove condivisione significa mettersi al servizio degli altri, conosciuti o perfetti sconosciuti che siano, che si affidano ai tantissimi studenti volontari di ogni ordine e grado che dedicano tempo ed energie per una causa comune, quanto nobile.
Condivisione significa che gli studenti possono uscire dai limiti spaziali delle loro aule scolastiche per trasformarsi in “ciceroni”, in guide turistiche al servizio della collettività. Condivisione significa diventare mediatori culturali, dove la cultura funge da collante e da motore per la società. Significa dare concretamente e gratuitamente il proprio contributo per veicolare una sensibilità diffusa nei confronti dei beni culturali, che costituiscono la memoria collettiva, in quanto parte della nostra identità.
Condivisione e compartecipazione in occasione di manifestazioni culturali come quella di Monumenti Aperti determinano sollecitazioni e risposte positive straordinarie nei fruitori; uno stato d’animo ed una predisposizione all’ascolto normalmente impensabili. Dove la “normalità” si traduce spesso e volentieri in ritmi di vita frenetici, relazioni sociali superficiali e impersonali, assuefazione e disinteresse, cinismo, accidia, maleducazione. In indifferenza: verso il prossimo e il bene comune (la res publica).
Al di là di un tono che può sembrare retorico, ma che più che altro è alimentato da una forte passione personale, credo che l’intento di quest’ultima edizione di Monumenti Aperti possa realmente fare leva proprio sul grande valore della condivisione come naturale antidoto all’indifferenza. Traducendo la condivisione come capacità di veicolare conoscenza e coscienza di determinati valori – morali ed etici – di cui si fanno portavoce i nostri ragazzi, che rappresentano il futuro.
Allo stesso tempo la condivisione è da intendere nel suo fine socializzante: quale capacità empatica e forma relazionale, con indubbie ricadute per gli studenti sotto forma di autogratificazione ed autostima.
Lungi da prestazioni mnemoniche che il più delle volte tradiscono fini utilitaristici ed opportunistici traducibili in numero (il feticcio dei crediti formativi), gli studenti devono essere più che mai sensibilizzati al valore intrinseco e con ricadute sociali dei beni culturali. Perché fatti non furono a viver come bruti.
Al riguardo, mi fanno sempre da eco le parole di Argan, quanto mai pregnanti di questi tempi: «La conoscenza dei patrimonio artistico e dell’ambiente porta all’idea che si tratta di beni di interesse pubblico anche quando sono di proprietà privata. È un concetto che gli storici dell’arte hanno affermato e la Costituzione della Repubblica ha sancito, ma non è entrato nella prassi della vita italiana. Non sopravviverà il patrimonio artistico se non sarà coltivata negli italiani la coscienza del suo valore. È grave che lo Stato non chieda alla scuola di alimentare in tutti i cittadini, cominciando dai ragazzi, la nozione e la coscienza di quei valori; l’ignoranza non è sempre innocente, anzi è a priori colpevole. L’indifferenza o l’assenza della scuola non preoccupa soltanto per il destino della civiltà storica italiana nel prossimo, poco promettente futuro; v’è qualcosa che tocca la salute psichica e morale dei singoli e della società. È arcinoto che molte psicosi e nevrosi dell’uomo moderno dipendono dalla difficoltà della sua integrazione nell’ambiente [...] si moltiplicano paurosamente i fenomeni d’intolleranza, di rigetto, di volontario sfregio del volto urbano» (Giulio Carlo Argan, L’Unità, 13/6/1989, cit. in M.A. SPADARO, Didattica dei beni culturali, http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/didbc.html).
Concludendo, sono tanti i ricordi e le piacevoli sensazioni maturate in occasione di manifestazioni virtuose organizzate da istituzioni (come MIBAC, Soprintendenze, o Musei, Archivi, Biblioteche) ed associazioni No profit o Onlus (Monumenti Aperti o Italia Nostra) preposte alla tutela, salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali.
Ovunque ho potuto assistere di persona ad un piccolo grande miracolo: i fruitori, conosciuti e perfetti sconosciuti, interagiscono dialogando amenamente fra loro, magari anche di “cose culturali” (quando normalmente non si saluterebbero neppure sotto tortura); attendono il proprio turno d’ingresso ai siti con religioso rispetto e senso civico, a volte sotto il sole o la pioggia battente (mentre normalmente si scannerebbero per un parcheggio, o sarebbero portati a sgomitare e a sorpassare il vicino in quella che è la costante dei sistemi d’attesa italiani, ovvero la “fila a cuneo”).
Come sostengono Alain De Botton e John Armstrong, l’arte ci permette di risolvere i problemi della vita: la si dovrebbe studiare e contemplare anche per instaurare relazioni soddisfacenti, rintracciare una forma di felicità e superare le ansie e le afflizioni del quotidiano. Non solo per contemplare il bello, quindi, ma anche per migliorare la nostra vita.
Che sia il potere miracoloso dell’arte e della sua bellezza che – ad ogni latitudine e longitudine, indipendentemente dalla cultura di riferimento – si alimenta anche di gioia (che è piacere e divertimento) e di condivisione?
Riflettiamo su queste due parole, solo in apparenza banali.
———————————————————anche su Cagliari città metropolitana.
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