Monthly Archives: settembre 2015

Oggi giovedì giobia 24 settembre cabudanni 2015

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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413.
unicanotte_ricercatori- IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA.
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ass  9 m urpinu CEMENTO PRIVATO O BENE SOCIALE? Domani venerdì assemblea pubblica alle ore 19.00 alla scuola Randaccio di via Venezia.

Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (6)


ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il sesto raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21.
Massimo Murgia
Anni Cinquanta

Negli anni cinquanta. quando noi eravamo bambini, il tempo passava più lentamente. – segue –

Oggi mercoledì 23 settembre, merculis de cabudanni 2015

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unicanotte_ricercatori- IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA.
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banner-cagliari2015-Quando buttavano a mare i tramCagliari 2015 e Luna Scarlatta per Sergio Atzeni: Quando buttavano a mare i tram
(Dal sito ComuneCagliariNews) Dal 22 al 27 settembre 2015 letture, musica, teatro e poesia per ricordare lunascarlattaSergio Atzeni a vent’anni dalla sua scomparsa. Il pensiero e le parole dello scrittore nei luoghi inconsueti della città: Teatro Civico di Castello, piazza San Domenico, piazza Costituzione, Mercato di San Benedetto, Is Mirrionis e Marina Piccola. Ingresso libero a tutti gli eventi. Il progetto è ideato e realizzato dall’associazione culturale Luna Scarlatta e inserito all’interno dei Progetti in Rete per Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015. – Locandina e programma

con gli occhiali di Piero. il sardo-australiano…

Walt_Whitman_-_George_Collins_CoxCITAZIONE DELLA SERA
Io pronuncio la parola d’ordine antica, vi offro il segno della democrazia,
per Dio! non accetterò nulla di cui gli altri non possano avere un corrispettivo uguale. (Walt Whitman)GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
- Da un 22 settembre passato.

C’era chi si occupava degli “ultimi” di Cagliari

Piccioccus-seppiaChe Cagliari è, quella che pignora la tomba di suor Nicoli?
di Paolo Matta
By sardegnasoprattutto/ 19 settembre 2015/ Culture/
SUOR-NICOLI-2 Se per un attimo, indugiando piacevolmente nei sogni della nostra infanzia, cedessimo alla tentazione di credere alle stelle cadenti, ebbene, non avremmo dubbi che una di loro sia planata nelle stradine della Marina. E abbia preso il nome e le sembianze di suor Giuseppina Nicoli.
E da quel borgo antico del porto – seppure chiusa in modesto sepolcro – brilla ancora di luce propria, quella della carità che “tutto copre, tutto spera, tutto sopporta“. Ma Cagliari, anche e soprattutto la Cagliari cristiana – destino comune a innumerevoli comunità locali e non – soffre di memoria corta.
D’altronde, per averne tacita e imbarazzante conferma, basta uscire di qualche metro quadro dalla antica Lapola per imbattersi, in quelle che sono le ultime propaggini di Stampace basso, nella tomba di una delle colonne del pensiero e della teologia universali: quell’Agostino di Ippona, vescovo africano, le cui spoglie una Sardegna ospitale e non pregiudizialmente ostile accolse e gelosamente custodì per oltre due secoli. Oggi, tomba vergognoso monumento all’oblio e a una colpevole ingratitudine. Al pari della sua chiesa nella Via Baylle.
Proprio dove una città muta e sorda, dico anche quella dei laici illuminati oltre che dei devoti seguaci del Vangelo, accetta – in un’insopportabile e farisaica indifferenza – che una delle sue storiche e più meritorie istituzioni conosca l’onta dello sfratto e del pignoramento.
Parlo dell’Asilo della Marina, sulla cui recente gestione occorre rimettersi rispettosamente alla magistratura e alla sua parola definitiva. Ma parlo soprattutto di suor Nicoli, beatificata a Cagliari in una memorabile celebrazione ai piedi del Colle di Bonaria il 3 febbraio del 2008. – segue

Oggi, martedì 22 settembre, cabudanni, 2015

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programma_notte_ricercatori Fratello sole
- LA NOTTE DEI RICERCATORI
IL PROGRAMMA COMPLETO.
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(Dal sito ComuneCagliariNews) Dal 22 al 27 settembre 2015 letture, musica, teatro e poesia per ricordare lunascarlattaSergio Atzeni a vent’anni dalla sua scomparsa. Il pensiero e le parole dello scrittore nei luoghi inconsueti della città: Teatro Civico di Castello, piazza San Domenico, piazza Costituzione, Mercato di San Benedetto, Is Mirrionis e Marina Piccola. Ingresso libero a tutti gli eventi. Il progetto è ideato e realizzato dall’associazione culturale Luna Scarlatta e inserito all’interno dei Progetti in Rete per Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015. – Locandina e programma
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con la lampada di aladin alla Stazione…

treno RAS 423 E sono 423 giorni di attesa!
treno 1lampada aladin micromicroTRENO VELOCE CAGLIARI-SASSARI. L’alternativa allo studio dell’assessore.
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La scheda tecnica del treno alternativo – segue -

La notte dei ricercatori dal 22 al 25 settembre 2015

programma_notte_ricercatoriuniversità e torre 20 9 15
- IL PROGRAMMA COMPLETO.
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Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (5)


piazza palazzo Ca anticaape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il quinto raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20.
Franco Medda
Castedd’e susu

Sono nato nel quarantasette nel rione di Castello, Castedd ‘e susu, nella strada del Duomo. Ho trascorso la mia infanzia e l’inizio dell’adolescenza in quel microcosmo, di cui ricordo e sento ancora oggi visi, personaggi, persone care, voci, rumori, odori. Il più antico ricordo che ho riguarda me stesso: una piccola bicicletta regalatami dai miei genitori per Natale, forse nel 1951. E subito rivedo altri Natali e altre Epifanie, il grosso ramo di pino addobbato di babbi natale e palline colorate quasi impalpabili nella loro fragile leggerezza, il vassoio
di dolci sardi, durcis de Cuàrtu, riposto nella grande credenza di nonno nel soggiorno, la frutta secca ben nascosta alle mani avide del piccolo di casa, l’attesa trepidante della vigilia, sa nott‘e is matinas, per la venuta di Gesù Bambino. – segue -

con gli occhiali del sardo-australiano Piero…

Flinders Piero australianoGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413MATTHEW FLINDERS
Monumento a Matthew Flinders a Mornington.
Matthew Fllinders francobollo australianoEra un esploratore inglese. Nacque a Donington nel 1774. Tra il 1797 e il 1802 esplorò le coste dell’Australia e circumnavigò la Tasmania.
Monumenti a lui dedicati si trovano in varie città dell’Australia.
L’Australia deve a lui il suo nome, che usò nella sua relazione dei viaggi, A Voyage around Terra Australis (Viaggio attorno alla Terra Australis).
Morì a Londra a soli 40 anni nel 1814.

Oggi, lunedì 21 settembre, cabudanni, 2015. Autunno

Nicolò Migheli ft fbNella frescura d’autunno è bello
Nella frescura d’autunno è bello
scuotere al vento l’anima – che pare una mela -
e guardare l’aratro del sole
che solca sopra al fiume l’acqua azzurra.
È bello strapparsi dal corpo
il chiodo ardente d’una canzone
e nel bianco abito di festa
aspettare che l’ospite bussi.
Io mi studio, mi studio col cuore di serbare
negli occhi il fiore del ciliegio selvatico.
Solo nel ritegno i sentimenti si scaldano
quando una falla rompe il petto.
In silenzio rimbomba il campanile di stelle,
ogni foglia è una candela per l’alba.
Nessuno farò entrare nella stanza,
non aprirò a nessuno (Sergéj Aleksándrovič Esénin)
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La Sardegna che vogliamo. “Se realizzassimo una balentia senza fucili?”

Atzeni-copertina-sito-622053_960x368ape-innovativa2Come è noto, dal 22 al 27 settembre 2015 si terranno in città una serie di manifestazioni, nell’ambito del Progetto “Quando buttavano a mare i tram”, fatte di letture, musica, teatro e poesia, per ricordare lunascarlattaSergio Atzeni a vent’anni dalla sua scomparsa. Il pensiero e le parole dello scrittore nei luoghi inconsueti della città: Teatro Civico di Castello, piazza San Domenico, piazza Costituzione, Mercato di San Benedetto, Is Mirrionis e Marina Piccola. Ingresso libero a tutti gli eventi. Il progetto, ideato e gestito dall’associazione culturale Luna Scarlatta, è inserito all’interno dei Progetti in Rete per Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015. Nell’occasione riteniamo utile e bello pubblicare tre articoli scritti da Sergio Atzeni (ripresi dal sito web a lui dedicato), che, al di là dei fatti e delle polemiche contingenti, mantengono decisamente validità per le considerazioni e le indicazioni di fondo. Sì, perché come ha sostenuto Vito Biolchini in un suo recente intervento sullo scrittore cagliaritano, intitolato “Perché Sergio Atzeni ci manca veramente”: “Si poteva anche non essere d’accordo con lui ma i suoi interventi non erano mai banali, perché Atzeni non scriveva a caso e non amava apparire, non era il prototipo di scrittore rockstar (che poi abbiamo conosciuto, ahimè, anche alle nostre latitudini). Le parole di Atzeni avevano un peso: tutte. Oggi in tanti ricordano banalmente lo scrittore, ma pochi rimpiangono l’intellettuale. Eppure è proprio in quell’ambito che Atzeni ha lasciato un vuoto che nessuno dopo di lui è mai riuscito a colmare. Perché si avviava ad essere per i sardi quello che per gli italiani è stato Pier Paolo Pasolini. Atzeni stava creando quel ponte tra cultura e politica che serviva all’una e all’altra per essere realmente utili alla società. Il suo sforzo era teso anche a mettere in collegamento le ragioni della Sardegna urbana con quelle della Sardegna rurale, azione di mediazione straordinaria perché tra i due ambiti le incomunicabilità sono ancora troppe”.

Se realizzassimo una balentia senza fucili?
SergioAtzeni fto microdi Sergio Atzeni

(dal sito ufficiale www.sergioatzeni.com)

Promittu: si una borta mi tzerriais a Bitti a kistionai, kistion’in sardu de s’inkuminzu ’a s’akabu, in sardu de domu mia, Santa Renner’in Kasteddu, po bir’itta ’n di kumprendeis a Bitti, tott’a korp’e bagarias beccias frunzias e sbentiaras, krukurigas, pingiaras, aggittorius, faulas isciaquaras in su feli, fiuras frastimaras, bottus de potekarius susuncus, bentus kontrarius ki bandat akù’akùa e arregalanta kallenturas, sparedda purescia e murenas arenaras, krokongius, puddas e pippius. Po urtimu arregordu unu mesu muttettu bell’e antigu: is proprius funis sardas impi- kanta su sardu. Si mi tzerriais a Bitti. Si no, e poi immoi, kistion’e iscriu italianu, mankai siara disamistade bittesa inkuminzada de vissignoria Iuanne Dettori e sighia de vissignoria Bachis Bandinu. E pirmissu, bittesos balentes? Giovanni Dettori, su queste pagine, ha parlato con voce chiara, non priva di volute e spirali né di citazioni eleganti, ha parlato di noi e dell’isola dove siamo nati e dove prima che il viaggio finisca vorremmo tornare, per costruire (Noi chi? I sardi d’oltramare, vagabondi in epoca vagabonda, liberi da ogni catena tranne il bisogno di campare e la lotta volontaria contro i vizi e il male che fanno parte di ciascuno). Di noi e dell’isola Dettori ha cantato un attittidu, dolore e nostalgia. Gli piacerebbe scrivere in spagnolo, ha confessato, y entre los petalos habìa motitas de oro.
Gli ha risposto Bachisio Bandinu usando strumenti psicanalitici e parlando di madri e padri, oralità e scrittura, un saggio strano e pensoso, anche bello. Strano perché mi pare psicoanalizzi un emigrante che non è Dettori (per quel che lo conosco ma un Signor Tale che nell’avventura oltremare ha incontrato problemi difficili e non li ha saputi risolvere, dovrebbe andare in analisi). Strano anche per un particolare: Bandinu scrive in italiano invitando Dettori a scrivere in sardo. Non è strano?
Quanto ai temi centrali sollevati da Dettori e rilanciati da Bandinu, ovvero dove vada la nostra isola e che senso abbia la mutazione denunciata, la perdita dell’antica lingua sostituita da un ibrido che fa paura, delle antiche abitudini sostituite da un’imitazione imbelle di modelli televisivi, che senso abbia oggi la nostra identità di sardi, poco ho da dire e disordinato.
Ogni tanto mi chiedo: qualcuno in Sardegna pensa o vuole imbrigliare il sardo di Santa Rennera in vocabolari indiscutibili di condanne? Qualcuno pensa o vuole dizionari e grammatiche sarde imparate a memoria in prima elementare? Se questo qualcuno esiste, continui a pensare, a volere, per carità, siamo in democrazia e siamo nati per sopportare il peggio. Ma potremo parlare sardo quando vogliamo? Altrimenti italiano inglese o quello che vogliamo come vogliamo e sappiamo? O qualcuno pensa e vuole che la Regione e lo stato debbano intervenire per costringere con la forza qualcun altro a parlare come non sa o non vuole?
Credo giusto che in prima elementare i bambini possano studiare inglese e francese, oltre l’italiano. Se fra vent’anni l’intera gioventù sarda leggerà non tradotti i romanzi di Mc Ewan e Chamoiseau, non mi lamenterò. Se qualcuno pensa o vuole scrivere quindi romanzi in sardo, capaci di sfidare il tempo e affascinare i futuri, perché non lo fa? Cossu e Lobina hanno provato, la strada è aperta. Ci si vuole misurare creando misture fra saggio e racconto? Pira ha provato, la strada è aperta. Signor qualcuno, se esisti, regalaci il capolavoro. Ti applaudiremo.
O qualcuno pensa o vuole decretare traditori della causa sarda gli scrittori che hanno scritto e scrivono in italiano? Qualcuno, se ci sei, ti pare il caso? Senza Deledda e Satta? Senza Gramsci e Lussu? Senza Asproni e Bacaredda? Che storia letteraria ti resta? Sos poetas in limba? E tottu s’atr’a mari? Ci as pensau beni?
Ho un timore. Che questo ennesimo dibattito sulla lingua e sull’etnia sarà interessante ma inutile come quelli che nel secolo l’hanno preceduto (e sono schiera ingente). Continueremo a fare finta di nulla. Ogni anno ad aprile avremo qualcuno nelle mani dei banditi e una o più famiglie in attesa. Ad agosto fiamme nei pochi boschi rimasti. Da gennaio a Natale i ragazzi a vagare nel mondo con rabbia e voglia di tornare. Mai lavoro sulla nostra terra. I condotti dell’acqua perderanno, i bacini saranno insufficienti, regnerà la sete: anni di pioggia si alterneranno ad anni di siccità, ci si potrà lavare ogni giorno a ogni ora o soltanto il martedì alle tre. Con dibattito periodico sulla lingua e sull’identità. Per quanti secoli ancora?
Nuovo mattino cercasi per isola che ha bisogno di cambiare. Siamo capaci di provare a cambiare? Per gioco. Per vedere l’effetto che fa. Impedendo l’evitabile e costruendo il costruibile con decisione sorridente e fraterna di molti assieme, ogni volta che serve. Attenti a quel che succede nei nostri paesi e nelle città. Attenti al dibattito e i fatti. Più ai fatti che alle parole. Rompendo i coglioni al potere ogni volta che si può, lo merita sempre, l’ha sempre meritato, il potere di Roma come quello di Cagliari.
Massima penalità a chi si prende troppo sul serio. Di solito si comincia prendendosi sul serio, zuppi d’orgoglio, e si finisce per ammazzare il vicino per questioni di pascolo, di donne, di soldi, di ragioni. Quanto improbabili ragioni.
Riusciremo a cambiare? Cambiare come? Verso dove? Ridando vita all’antica balentia, magari. Ma disarmata. Intelligente. Balentia senza fucili. Ne saremo capaci?
Senza fucili, senza sequestratori. Per favore, signori banditi, siate degni dell’antico nome. Non dovete dare il cattivo esempio ai bambini. Abbiamo urgente bisogno di bambini liberi che possano diventare uomini coraggio- si, intelligenti e onesti come gli antichi di cui parla la storia o la leggenda dei sardi resistenti. Non abbiamo bisogno di uomini che per arricchire sequestrano uomini. Signori banditi, perché non andate a svaligiare qualche banca svizzera che guadagna coi soldi della mafia? Inzandus eia (tando ei), sarebbe balentia banditesca degna degli antichi costumi, delle antiche bardane.
Non dimenticando le volte innumerevoli che gli antichi sono fuggiti senza combattere o si sono arresi o hanno barattato gli interessi dell’isola in cambio di un titolo da barone o da senatore, non dimenticando che siamo stati comprati e venduti in blocco con la terra, mezzadri di Spagna e Savoia. Senza troppo orgoglio neppure per gli antichi, non erano tutti santi, non erano tutti eroi.
«l’Unione Sarda», 7 Maggio 1995
[Con questo articolo Sergio Atzeni intervenne in un dibattito sulla lingua e l’identità sarda sulle pagine de L’Unione Sarda iniziato da Giovanni Dettori e proseguito da altri intellettuali come Bachisio Bandinu, Eliseo Spiga e Placido Cherchi].
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Naufragio di Joyce nella noia
Borges non scrive mai più. Impedito dalla cecità totale che lo accompagna da oltre un ventennio; da quel giorno del 1955 in cui definitivamente si concluse il «lento crepuscolo durato più di mezzo secolo» che aveva accompagnato la sua vista.
Non scrive, Borges. Ma detta i suoi pensieri: completamente parlati – e forse proprio perciò straordinariamente lievi e aerei – erano racconti del Libro di sabbia, scritti nei primi anni settanta. I racconti, le conversazioni, sono raccolti da mani fedeli: la loro correzione immagino come un alternarsi di canti e controcanti fra la voce del poeta e quelle degli aiutanti che instancabilmente ripetono le sue parole.
Nel 1978, Borges tenne una serie di “lezioni” per gli studenti dell’università di Belgrado. Cinque lezioni. Gli argomenti, nell’ordine: il libro, l’immortalità, Emauel Swedenborg, il racconto poliziesco, il tempo. Il legame fra temi in apparenza tanto alieni l’uno all’altro, è dato dall’unica voce che attorno ad essi riflette: sono i nodi attraverso cui si è sviluppata l’opera vastissima di Borges, e di cui, qui, si offrono al lettore chiavi di interpretazione e fili conduttori “ideologici”.
Il libro, stretto fra le tenaglie della sacralità, da un lato, e dell’oggettualità industriale dall’altro, viene “rubato”, da Borges, che lo restituisce – seguendo Montaigne – come “provocatore di gioia”. Il giudizio su Joyce è inappellabile: non provoca gioia, ma tedio: «ha essenzialmente fallito».
Le conclusioni borgesiane (sempre raggiunta attraverso esplorazioni non consuete del patrimonio culturale della civiltà occidentale, ma non mancano interessanti “fughe” verso i libri religiosi indiani o mussulmani) si colorano di laica rassegnazione; anche nei vasti territori del misticismo (il saggio su Swedenborg), anche in quelli minati da temi eminentemente religiosi. L’immortalità è concessa: ma al genere umano, alla specie: non ai singoli individui. Il pensiero, la cultura, la scienza degli uomini: solo qui stà l’immortalità. La riflessione è animata da squarci d’ironia garbata: a San Tommaso d’Aquino che ci ha lasciato la sentenza «la mente desidera spontaneamente di essere eterna», Borges risponde che la mente «desidera anche altre cose (…) Ci sono i casi dei suicidi, o il nostro caso quotidiano di persone che hanno bisogno di dormire, il che è anche una forma di morte». Il Borges “orale” che emerge da queste lezioni (raccolte in volume dagli Editori Riuniti, titolo Oral, appunto), mentre si lascia trascinare dai suoi stessi intrighi di parole e concetti (dopo più paradossi concentrici, conclude che il tempo non può essere spiegato, né capito) pare un vecchio saggio che racconta che cosa rimane del nostro tumulto quotidiano: poca fede, qualche bella immagine poetica, una biblioteca di Babele – un gradino nella storia della specie –: tutto con voce limpida, che sa mormorare con la sobrietà dei classici, e non esorcizza i tormenti dell’epoca: ma non permette che siano essi a tormentarla.
«La Nuova Sardegna», 26 Maggio 1981
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Migliaia in un capannone a Cagliari per il jazz di Don Cherry
L’appuntamento era alla Fiera campionaria. Si sono ritrovati in tanti – oltre tremila giovani e ragazze – in un capannone adibito solitamente all’esposizione di tende da campeggio e motoscafi. Un locale enorme, freddissimo, senza sedie. È mai possibile che a Cagliari, sede del governo regionale e capoluogo sardo, per andare a sentire uno dei più grandi trombettisti jazz viventi (l’afro-americano Don Cherry) ci si debba sdraiare per terra sul cemento freddo?
È possibile. Il teatro Massimo è interdetto a qualunque manifestazione musicale che non sia la lirica (e non va neppure per questo genere di spettacolo, lo squallido cinematografo in disuso), fin dai tempi in cui un concerto- pop provocò scontri tra pubblico e polizia. Motivo: l’organizzazione aveva venduto un numero di biglietti incredibilmente superiore alla capienza del locale.
L’Auditorium è stato chiuso a tempo indeterminato dalle autorità comunali. Si sono sollevate le proteste dei partiti di sinistra e delle organizzazioni culturali, ma invano. La giunta, da quell’orecchio non ci sente. Il teatro della istituzione dei concerti “Pierliugi da Palestrina” è in costruzione, più o meno, dall’immediato dopoguerra: i lavori ancora non sono conclusi. Intanto Cagliari è rimasta senza teatro durante la guerra: il Politeama Regina Marghe- rita distrutto da un incendio, e il Civico ridotto dai bombardamenti in un cumulo di macerie.
Il Palazzetto dello Sport, ultima possibilità rimasta fino a qualche tempo fa, d’ora in poi ospiterà soltanto partite di pallacanestro. Con buona pace degli amanti della musica, quindi, rimane il capannone della Fiera. O mangi di questo cemento, o salti lo appuntamento.
Un quadro desolante che è urgente sanare. Infatti, la musica è uno dei pochi strumenti rimasti in grado di produrre fenomeni di aggregazione giovanile. Privarsi delle possibilità di organizzare concerti significa – e non ci sono mezzi termini – voler aumentare e incancrenire la disgregazione del mondo giovanile, gravissima per i motivi che tutti conosciamo.
Ma torniamo al concerto. Dopo un breve spettacolo del gruppo cagliaritano degli Hara Quartet, (quattro ragazzi coraggiosi che hanno rifiutato le sirene delle sagre strapaesane a trecentomila la serata, per una scelta musicale e ideologica ardua, e che sono costretti a studiare e provare nei sottani di Castello), è finalmente il turno di Don Cherry. L’artista negro interviene con l’accompagnamento di una chitarra e una batteria, e con un coro formato da sua moglie e due bambini, praticamente un intero nucleo familiare.
Ben presto ci si dimentica delle difficoltà di ascolto e climatiche: il concerto termina con tutto il pubblico che canta assieme agli artisti, in un fenomeno di partecipazione mai visto prima d’ora in questa città. Il suono di Don Cherry, ritmi afro-americani inseriti in moduli “circolari” orientali su una melodia spesso rock, è talmente trascinante e coinvolgente da suscitare entusiasmo giustificatissimo nel pubblico. Come dire che il freddo dell’ambiente è stato combattuto e vinto dal calore umano. Non succederà purtroppo nel caso di musiche più rarefatte e “difficili”.
Il concerto è stato organizzato dal Movimento dei Lavoratori per il Socialismo (ex Movimento Studentesco). Anche in questo caso una osservazione si rende necessaria: come mai Don Cherry non è stato invitato nella nostra città dall’ARCI? Non crediamo si tratti di ignoranza: l’artista negro è stato presente alla maggior parte dei festival dell’Unità dell’estate scorsa, compreso quello nazionale. Non essersi accorti quindi della sua presenza in Italia e della sua disponibilità per i circuiti “«alternativi” sarebbe stato molto grave. Non crediamo si tratti di questo, quanto piuttosto di un vizio di mentalità difficile da estirpare: ogni volta che si parla di jazz, infatti, vengono posti problemi sulla affluenza possibile di pubblico («non viene nessuno – si sente dire – è roba
d’élite»). Questo discorso valeva fino a una decina di anni fa: oggi è esattamente il contrario di allora, il jazz è divenuto spettacolo capace di attirare masse di giovani, e le prove non mancano a Cagliari. Si tratta piuttosto di fare scelte oculate e tempestive. Non per una pretesa in qualche modo “totalizzante” (il «vogliamo fare tutto noi»), ma perché crediamo che un intervento delle organizzazioni culturali della sinistra in questo settore sia ormai improcrastinabile. Perché è necessario comprendere i gusti dei giovani, ed educarli. Altrimenti qualunque discorso sulla “«cultura progressiva” è solo fumo.
«l’Unità», 23 Marzo 1976
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Io, sola

IO SOLA MANTEGAdi Carla Deplano
Con un tempismo impressionante mi capita casualmente sotto gli occhi un romanzo – IO, SOLA – edito da Arkadia, che leggo d’un fiato e che mi sento in dovere di consigliare a tutte le donne per la sua importanza vitale.
Per una volta non un asettico saggio scientifico su “massimi sistemi”, né una lettura amena di fine estate. No, il duro libro di Maria Mantega è importante perché seziona con una lama impietosa, ma col garbo di certa buona narrativa, sentimenti, emozioni, stati d’animo deviati e devianti con cui qualcuno di noi o un nostro conoscente ha avuto suo malgrado a che fare. Ma di cui si ha maledettamente vergogna di parlare.
Io ci ho rivisto personalità disturbate e dinamiche comportamentali fin troppo note e prevedibili, nella loro ciclica ripetitività e ingravescenza. Dinamiche schizofreniche che trovano ragion d’essere all’interno del sacro recinto delle mura domestiche, lontano da sguardi indiscreti e di cui – proprio per questo – nessuno sospetterebbe mai, nella realtà artefatta e freddamente costruita che una certa maschera di perfezione impone all’esterno, con la passiva complicità di chi tace per proteggere la persona amata ritrovandosi così, suo malgrado, sempre più avviluppata nelle spire di un rapporto vittima-carnefice. Di fronte a quanti tendono a minimizzare, tra banalizzazioni e stereotipi comportamentali, incapaci come sono di cogliere l’agghiacciante ambivalenza di un quadro familiare fortemente disturbato. O nel silenzio non sempre incolpevole di qualche stretto parente che non ha voluto vedere né sentire per tanti, troppi anni, i segni di un rapporto morboso quanto perverso, che non risparmia neppure i figli. – segue -

Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (4)

cagliari skyline 14 9 15ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni o non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il quarto raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo di ieri 19.
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Livio Sorresu
Port’e Biddanoa

Mio padre, Vincenzo Sorresu, giovane di “Castedd ‘e susu” era uno dei migliori fotografi di Cagliari, allora erano molti, allievo del grande Alfredo Nissim, aveva lo studio in piazza Martiri, “sa bucch’e sa nassa” come dicevano i vecchi cagliaritani, perché lì era il centro di Cagliari. Lo studio era al primo piano di Casa Ballero, alla fine della piazza, esattamente al numero 12/bis, perché il 13 portava sfortuna.
- segue

Oggi domenica 20 settembre 2015

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unicanotte_ricercatori LA NOTTE dei RICERCATORIIL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA. Dal 22 al 25 settembre 2015
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- A Roma il 20 settembre 1870.
ca via xx settCagliari, via XX settembre agli inizi del secolo (1904?)