Risultato della ricerca: dolores Deidda

Le adesioni all’appello

schermata-2020-11-26-alle-13-33-31
Adesioni in aggiornamento [segue]

Oggi mercoledì 23 settembre 2020

sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2senza-titolo1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6d0c73ae76-25bc-4f0c-b9b3-19306fe9655c
license_by_nc_sa asvis-oghetto
tempo-del-creato
791a7587-5f34-4078-ae63-d217117366e5 Prosegue il FESTIVAL ARCHITETTURA CAGLIARI, 18 – 27 SETTEMBRE 2020, SA MANIFATTURA – I CONFINI DEL CAMBIAMENTO
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti——–
23_09_immagine-sito- Il programma.
———————————————————————-
a846fb8f-1b48-477a-94d2-e1fd49eb3230Save the date. Punta del billete. Ricordati. —————
“La signora della stazione”,
il romanzo di Dolores Deidda
.
———————————————————————–

“La signora della stazione”: pubblicato il romanzo di Dolores Deidda.

la-signora-cover E’ stato pubblicato il romanzo di Dolores Deidda “La signora della stazione” che racconta, in particolare, le vicissitudini della sua famiglia e della madre negli anni ’40, quelli della guerra, e nei primi anni ’50 (r.d.).
Di seguito riprendiamo dal sito web dell’editore la bella intervista fatta a Dolores .book-sprint
—————
Intervista all’autore – Dolores Deidda
intervista-a-dolore-deidda

1.Ci parli un po’ di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata in un piccolo paese di montagna, nella zona della Sardegna chiamata Barbagia. Ma già a dodici anni avevo cambiato cinque residenze, dati i continui trasferimenti della mia famiglia. A Cagliari ho frequentato il liceo classico e mi sono laureata in Storia e Filosofia. Subito dopo mi sono trasferita a Roma dove ho sostenuto il mio impegno sociale con attività di studi e ricerca. Attività che ha continuato a prevalere nel mio impegno professionale in Italia e all’Estero. Per alcuni anni ho lavorato a Bruxelles e mi sono specializzata nelle politiche di Sviluppo e Coesione dell’UE.
Ho sempre scritto molto, ma i miei testi sono stati prevalentemente di carattere tecnico e utilizzano un linguaggio assai diverso da quello letterario. Ho deciso di scrivere un romanzo, non credendoci molto, quando ho avuto del tempo a disposizione dopo aver ridotto l’impegno lavorativo.

2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho degli orari prestabiliti. Alle volte gli spunti narrativi mi arrivano al risveglio del mattino e sento l’urgenza di aprire il computer per annotarli e semmai risistemarli successivamente. Altre volte è nella notte, il momento del silenzio, che trovo il filo per ricominciare a scrivere.

3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Il mio principale riferimento letterario del ‘900 è Marguerite Jourcenar, una scrittrice franco-belga di enorme rigore intellettuale, spessore culturale e talento narrativo. Un modello di perfezione cui è difficile avvicinarsi. Altri scrittori che apprezzo molto sono il latino-americano Marco Vargas Llosa e Jhon Maxwell Coetzee, sudafricano.
[segue]

Il bene fa bene

6606ba35-0ed0-4a08-870a-87a6c0d07ac7Gli angeli esistono, anche sulla terra.
di Raffaele Deidda.

Il Censis, in collaborazione con la Fondazione Magis, ha recentemente realizzato l’indagine “Missione, solidarietà internazionale e stili di vita degli italiani”. I dati emersi dicono che per il 77% degli italiani è fondamentale continuare ad aiutare i popoli del Sud del mondo, mentre solo il 19% ritiene sbagliato farlo. Questo è un atteggiamento diffuso soprattutto nel Nord Italia (20%), tra i non occupati (32%) e tra le persone con bassa scolarizzazione (20%). Solo il 20% degli intervistati però è disposto a dare un proprio contributo economico e a impegnarsi in prima persona.
Chissà a quali di queste categorie percentuali appartengono gli italiani che con efferata volgarità hanno insultato Silvia Romano, (l’ennesima oca giuliva… poteva stare in Italia e aiutare gli italiani) la volontaria di 23 anni dell’organizzazione “Africa Milele Onlus”, rapita in Kenya in seguito ad un attacco armato. Magari sono fra quelli che sostengono il respingimento dei migranti affermando come sia più giusto ed opportuno “aiutarli a casa loro” !
Sono considerazioni che rattristano e che fanno pensare come sia ancora terribilmente distante l’obiettivo di riuscire a portare pace e ad aiutare le comunità più svantaggiate del mondo a diventare protagoniste del cambiamento sociale, perseguendo uno sviluppo umano integrale e sostenibile. Eppure esistono esempi bellissimi di creature meravigliose, che sono riuscite nel corso della loro vita ad avvicinare persone delle società ricche a quelle più misere, creando una corrente di amore, di vicinanza e di solidarietà.
Una di queste creature è Madre Flora Zippo, delle Suore Francescane dei Sacri Cuori, oggi novantaduenne. Una donna dal fisico minuto ma dal cuore e dalla volontà immensamente grandi, che ha vissuto ed operato sempre a fianco degli ultimi, soprattutto nelle missioni delle isole Filippine. Una religiosa con carisma tale da conquistare anche le persone più “laiche” come Costantino Flore, il medico sardo docente di Medicina del Lavoro che avendo conosciuto Madre Flora nel corso di un viaggio nelle Filippine ne è diventato un grande sostenitore, promuovendo insieme ad altri numerose iniziative per supportare l’azione dell’instancabile missionaria. [segue]

DOPO IL CROLLO DELLE IDEOLOGIE

circo-seurat-239x300Né di destra né di sinistra

di Dolores Deidda, su Rocca

Sono passati quasi venticinque anni anni da quando Norberto Bobbio ha scritto «Destra e Sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica» (Donzelli 1994). Per lo studioso i termini destra e sinistra sono stati antitetici e reciprocamente esclusivi per oltre due secoli, dalla Rivoluzione francese in poi, portando a dividere l’universo politico in due campi contrapposti, in quanto nessun partito o movimento o dottrina politica poteva essere contemporaneamente di destra e di sinistra. Potevano essere soltanto o di destra o di sinistra. «Chi dice di non essere né da una parte né dall’altra, non vuole semplicemente far sapere da che parte sta».
Egli notava quanto fosse messa in discussione già allora – pur rappresentativa della topografia politica del Novecento – la tradizionale distinzione tra destra e sinistra, considerate da molti due categorie ormai prive di senso, posto che in passato ne avessero avuto uno. Ma già agli inizi degli anni ’80, in Italia ed in altri Paesi europei, si dibatteva su destra e sinistra, sulla loro rispettiva identità, ed in particolare sulla ragione e sul significato della sinistra, sull’opportunità e sul senso di una sua ridefi- nizione – anche da parte di chi a questo polo sentiva di appartenere. Alla fine del decennio con la caduta del muro di Berlino nell’’89 – ed il crollo delle ideologie che fino ad allora erano state rappresentate dal comunismo realizzato – sembrarono sufficienti a porre fine ad una contrapposizione che si supponeva avesse solo radici ideologiche.
I dubbi sulla permanenza della sinistra, dopo il fallimento di quel modello di comunismo, hanno trascinato anche i dubbi sull’esistenza della destra, in quanto termine antitetico. Se non esiste l’una viene meno anche l’altra. Per diversi analisti la conseguenza è stata che gli schieramenti fondati originariamente su valori e politiche contrapposte – in Italia e, più in generale, in Occidente – hanno cominciato ad avere programmi simili, facendo scomparire le distinzioni profonde tra di essi e trasformando in vecchie etichette o semplici finzioni le due categorie originarie.

l’albero delle ideologie è sempre verde
Ma non è questo il punto di arrivo di Bobbio per il quale sinistra e destra non indicano soltanto ideologie e perché dichiarare finite le ideologie è, in ogni caso, un punto non condivisibile in quanto «l’albero delle ideologie è sempre verde». Alle ideologie del passato si sostituiscono sempre nuove ideologie, o presunte tali. La polarità destra-sinistra è ancora inevitabile in quanto, per lo studioso torinese, la differenza tra le due non è di metodo (libertà e democrazia piuttosto che autoritarismo) bensì di valori. Un punto, questo, confermato dal politologo Michelangelo Bovero: «È una collocazione inevitabile, qualunque altra cosa si affermi, perché destra e
sinistra non sono concetti identitari, ma relazionali e richiedono di collocarsi da qualche parte nel campo politico. Se non lo dichiari tu, saranno le tue relazioni a collocarti».
Ed anche da Gustavo Zagrebelski, secondo il quale il né-né è un luogo politico inesistente, esiste «solo nel pre-politico, dove si incontrano i vasti principi condivisibili da tutti: ma appena si affronta il piano delle decisioni, la scelta è inevitabile». Per il politologo Carlo Galli (Perché ancora destra e sinistra, Laterza, 2013) sinistra e destra vanno «al di là dei contenuti che queste definizioni esprimono, e variano nel tempo e nei contesti: non sono la stessa cosa nell’Italia odierna e negli Usa, o nell’Italia degli anni Cinquanta».

uguaglianza e disuguaglianza
Per Bobbio è l’ideale dell’uguaglianza a caratterizzare la sinistra, la stella polare idealmente seguita e verso cui essa deve continuare a guardare. In direzione dell’uguaglianza sono stati fatti importanti passi in avanti, mettendo in discussione le tre fonti principali della disuguaglianza: la classe, la razza, il sesso. Ma il cammino non è compiuto. È solo iniziato. La destra, al contrario, risulta caratterizzata da una posizione inegualitaria. Se da questi principi astratti, i due tipi ideali, si scende al piano delle interpretazioni, si può affermare – seguendo Bobbio – che la sinistra ha teso ad attenuare le differenze per ridurre le disuguaglianze, la destra ha teso a rafforzarle, anche se quest’ultima può avere accettato alcuni risultati (si pensi all’art. 3 della nostra Costituzione) pur non avendo partecipato al loro conseguimento.
La discriminante principale proposta da Bobbio – più articolata rispetto allo schema generale qui richiamato – nel corso degli anni ha avuto molta fortuna negli ambienti della sinistra. Più recentemente è stata, invece, criticata da un altro studioso, Luca Ricolfi (Sinistra e popolo. Il conflitto politico nell’era dei populismi, Longanesi, 2017), anch’egli proveniente dalle fila della sinistra, anche se mai allineato, secondo cui «quello schema teorico, in cui la sinistra è il bene e la destra è il nulla, ha contribuito ad avvelenare la lotta politica in Italia e ha impedito alla sinistra di guardarsi davvero allo specchio… un peccato, perché di una sinistra che sa guardarsi allo specchio ci sarebbe più bisogno che mai».
Ancora più recentemente Giuliano Battiston e Giulio Marcon (La sinistra che verrà, Minimum Fax, 2018), attraverso i contributi di autorevoli studiosi nazionali ed internazionali, hanno provato a scrivere un rinnovato lessico (parole per cambiare) «fondato sulle vecchie discriminanti tra destra e sinistra: la giustizia contro il privilegio, la democrazia contro l’autoritarismo, i diritti contro lo sfruttamento, l’inclusione contro l’esclusione» ma come campi di prova sui quali misurare la capacità di affrontare le grandi questioni del nostro tempo: le migrazioni, i populismi, la globalizzazione, il cambiamento climatico, le trasformazioni del lavoro.

trasversalità mondialismo e identità
Riportando questo dibattito all’attualità politica occorre riconoscere che proprio un movimento/partito definitosi «né di destra, né di sinistra», il M5S, ha raccolto oltre il 32% dei voti alle ultime elezioni politiche italiane, conquistando il consenso di una larga parte dell’elettorato proveniente da sinistra (si stima circa un milione e mezzo provenienti dal Pd).
Se ripercorriamo la storia politica del nostro Paese, la definizione e la collocazione del M5S non è così innovativa come vorrebbe sembrare. Ha, infatti, dei precedenti e degli omologhi che è d’obbligo richiamare (pur non potendo vantare gli stessi risultati in termini di consenso acquisito). Nella fase postbellica fu il Movimento dell’Uomo Qualunque a tirarsi fuori dal sistema dei partiti allora esistenti, ma ebbe poca fortuna e nel giro di pochi anni rifluì in parte nella Dc e in parte nella destra storica.
A metà degli anni ’70 furono i parlamentari Radicali che, entrati in Parlamento, vollero evidenziare la loro estraneità all’«arco costituzionale» e alla «partitocrazia» sistemandosi nei seggi all’estremità (quella sinistra, però…) dell’emiciclo. Anche Antonio Di Pietro, con la sua Italia dei Valori, tentò all’inizio di sfuggire ad una precisa collocazione di campo. E neppure i verdi sono sfuggiti alla logica della trasversalità, giustificata dall’interesse superiore per cui erano nati, ma poi anch’essi sono poi confluiti in una parte della diade (la sinistra).
La stessa Lega, ha più volte ribadito il suo essere «né di destra, né di sinistra» adottando altre polarità, di tipo geografico o etnico o più attuali, quali quelle annunciate nel 2014 in occasione delle elezioni europee. «Il mondo è cambiato e con esso il senso della sfida politica. Le vecchie ideologie («destra» e «sinistra») ormai sono sorpassate e fuorvianti. La dicotomia oggi è tra mondialismo e identità. Fra gli attori del mondialismo inseriamo con convinzione l’Unione Europea. Questa, in nome di un egualitarismo spacciato per uguaglianza, sta portando avanti una omologazione degli usi e dei costumi, dei modelli sociali, della comunicazione e dei valori». Uscendo dai confini nazionali, con minore o maggiore fortuna, in altri Paesi europei si ritrovano posizionamenti analoghi. Basti citare la Nouvelle Droite francese, di Alain de Benoist, pur ancorata ad una cultura di destra oggi definisce se stessa: «Ni droite, ni gauche, Français!». Il movimento di Podemos in Spagna, collocato invece a sinistra, che attraverso le parole del suo leader, Pablo Iglesias, afferma: «A noi sembra che sia indispensabile cambiare le domande e renderle più trasversali: quando la gente vota pensando agli sfratti, alla sanità, alla scuola, possiamo vincere le elezioni e cambiare le cose». «Trasversalità», «sopra», «oltre», «avanti», «altrove,» «dal basso» sono i termini con cui in positivo queste formazioni tendono a tradurre il «né, né» per attrarre gli elettori delusi e disillusi, insoddisfatti e arrabbiati contro il «sistema» di chi ha sempre governato, a destra o sinistra.

il successo di M5S
In Italia questo modo di essere, di porsi e di proporsi ha assicurato risultati elettorali più consistenti che altrove. Ha dato capacità competitiva al M5S rendendolo il primo soggetto politico, il più attraente per piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e tecnici del privato, raccogliendo consensi superiori alla media anche in altri settori: operai, impiegati pubblici, studenti, disoccupati, diventando di gran lunga il partito preferito fra i giovani (sotto i 30 anni) e fra gli adulti-giovani (30-44 anni) grazie all’offerta politica caratterizzata anche sul piano generazionale e territoriale. Basta vedere il pienone di consensi riscossi nel Mezzogiorno, in quelle che erano le regioni dell’Intervento Straordinario al Sud.
Affermando di essere un soggetto trasversale, ovvero post-ideologico, ovvero rivolto all’insieme dei cittadini – a prescindere dal ruolo che essi hanno nel sistema economico e nella società e dalla condizione che da questo ruolo ne consegue – il M5S segna in Italia l’approdo di quella che potrebbe chiamarsi la post-modernità.
L’azione politica non è più riferita agli assi cartesiani della democrazia occidentale. Supposte cadute le ideologie contrapposte, rimangono problemi e temi (primo fra tutti quello dell’onestà) che vanno affrontati e risolti con programmi politici capaci di mettere d’accordo tutti. Da qui la scelta, fortemente rimarcata in campagna elettorale, di «non stare con nessuno» e di voler evitare alleanze sia con la destra che con la sinistra, accomunate da un giudizio che le vede corresponsabili dei mali del sistema e della mancata risposta a problemi e bisogni fondamentali dei cittadini. La collocazione del non-partito si risolve in uno spazio politico «centrale» al fine di evitare contaminazioni con lo spazio dove si agitano i post-partiti sempre più in crisi, di destra e di sinistra.

una vittoria mutilata
Chiusa (o forse no) la campagna elettorale, il successo che ha portato il M5S a dichiararsi il pilastro del sistema politico italiano, il soggetto con cui tutti gli altri dovranno fare i conti, appare sempre più una «vittoria mutilata». Per dar vita ad un nuovo governo occorre formare una maggioranza e fare accordi, compromessi o «contratti» con altre forze politiche. Su questa partita il M5S cerca ancora di far valere il suo essere «né di destra, né sinistra», chiamando al dialogo sia la destra (purché senza Berlusconi), sia la sinistra (purché senza Renzi) e a condizione di guidare il governo che verrà.
Mentre scriviamo la situazione è ancora di stallo e molti passaggi, sia istituzionali, sia all’interno dei partiti, saranno necessari per intravvedere possibili vie d’uscita. Comunque vada a finire, ripartendo dalle categorie di destra e di sinistra, è molto probabile che il M5S non resterà quello che ha dichiarato di voler essere. Il sistema di relazioni lo porterà a scegliere il campo politico in cui collocarsi, o la destra o la sinistra. Altri scenari, in un quadro politico completamente cambiato, sono comunque possibili.

Dolores Deidda
———————-
rocca-10-2018-15-5-2018

————————-
L’illustrazione in testa
Il circo, dipinto a olio su tela (185,5×152,5 cm) realizzato (ma lasciato incompiuto) nel 1891 dal pittore Georges-Pierre Seurat.

Oggi giovedì 3 maggio 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazimg_4939costat-logo-stef-p-c_2-2————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti————-
9eab215a-8f61-44b6-8422-8232004dcd9cIl mio ‘68 a Cagliari
3 Maggio 2018

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
—————————————————————————————————–—
lampadadialadmicromicroPer correlazione: “Il 68 dei cattolici” di Dolores Deidda, su Rocca e su Aladinews.

Gli editoriali (e altro) di Aladinews

lampadadialadmicromicroimg_4794Il 68 dei cattolici
di Dolores Deidda, su Rocca, ripreso da Aladinews.
—————————————————————————
Faber Faber Bomeluzo testonesedia di Vannitola
—————————————————————————–
democrazia-economica-510 Lo Stato non si abbatte, si cambia! Verso la ricerca instancabile di democrazia. La politica non sempre è garante della natura libertaria del “paternalismo” dello Stato. Gianfranco Sabattini su Aladinews.
——————————–

Il 68 dei cattolici

img_4793
di Dolores Deidda, su Rocca.

1. Il 68 è stato un fenomeno incubato a lungo nella società italiana a causa delle crescenti contraddizioni che hanno accompagnato il boom economico del Paese ma certamente connesso con il movimento internazionale che, fin dalla metà degli anni ’60, prese piede negli USA e in Europa dove l’apice fu raggiunto dal maggio francese.
Epicentro del movimento – di quello racchiuso nel periodo di tempo che va dal dicembre del 1967 al maggio del 1668 – è l’università. A Milano, Torino, Trento e Pisa maturano le prime iniziative.
Nei primi mesi dell’anno le lotte si estendono all’insieme delle Università italiane ed alle scuole superiori. La richiesta degli studenti dell’abolizione della lezione cattedratica e la sua sostituzione con seminari di studio e di ricerca, diventa, la principale rivendicazione. Vengono proposti “controlezioni”, “occupazioni bianche”, “controcorsi”. La protesta all’inizio si concentra contro i principi autoritari, paternalistici, conformisti ed il modello di vita consumistico. I giovani rifiutano di lasciarsi integrare nelle strutture dell’apparato socio-politico dominante e arrivano a proporsi come forza sociale autonoma, con una propria identità.
Le istituzioni scolastiche sono chiaramente inadeguate a sostenere la scolarizzazione di massa verificatasi in quegli anni ma ancor più sono inadeguate ad interpretare le esigenze delle giovani generazioni.
In un quadro crescente di effervescenza politico-ideologica la contestazione diviene globale, rivolta contro tutte le organizzazioni istituzionalizzate, estendendosi alle grandi questioni internazionali dell’imperialismo e del bellicismo americano esasperato dalla guerra nel Vietnam. La scoperta della classe operaia come soggetto antagonista del sistema porta poi a ricercare un collegamento con la fabbrica interessata da un nuovo e straordinario ciclo di lotte operaie che culminerà nell’ “autunno caldo” del 69. Ma qui comincia un’altra fase del 68 italiano che lo vedrà distinguersi da altre esperienze, in particolare da quella francese, sia per le sue caratteristiche che per la sua durata e i suoi esiti.

2. Divergenti rimangono le valutazioni sul significato e la portata generale della contestazione studentesca. C’è chi sostiene, senza mezzi termini, che la rivolta sessantottina sia stata illusoria, una grande «sbornia» in una fase turbolenta della nostra storia, condividendo la stigmatizzazione di Pierpaolo Pasolini nei confronti della “ rivoluzione dei figli di papà” e la critica del sociologo tedesco Jurgen Habermas sull’incapacità degli studenti di andare oltre la fase provocatoria. C’è chi ritiene che il desiderio di “cambiare il mondo” fosse un buon proposito naufragato con le utopie marxiste o rivoluzionarie che hanno finito con il prevalere. C’è chi definisce quegli anni “formidabili” per il protagonismo assunto dalle nuove generazioni, capaci di far emergere le storture della società e di modificare in profondità i rapporti pubblici e privati. Da allora, “i rapporti tra padroni e operai, studenti e insegnanti, perfino tra figli e genitori, non sarebbero mai più stati gli stessi”, ha scritto Umberto Eco. Un processo capace, dunque, di segnare un prima e un dopo nella storia sia per il modo di porsi del mondo giovanile in rapporto alle istituzioni, sia per l’essere stato momento di avvio di una lunga stagione di azione collettiva destinata a mettere in discussione in modo radicale gli apparati di potere esistenti.

3. Sulle origini italiane del 68 sono in molti a riconoscere che una delle principali componenti va ricercata nel sommovimento che ha attraversato il mondo cattolico nella stagione post-conciliare, caratterizzata da ansie profetiche e spirito di radicale cambiamento portato dall’emergere di una coscienza nuova e contestativa negli ambienti più vivaci della cattolicità italiana, tesa a riscoprire la categoria terrena della costruzione della “città di Dio” in questo mondo.
Sui rapporti tra Concilio e Sessantotto cattolico, il giornalista Roberto Beretta sostiene che sostanzialmente si confrontano due tesi: “Quella più di destra sostiene che il Concilio ha fatto nascere direttamente il Sessantotto, rimuovendo certe solidità dogmatiche o liturgiche tradizionali della Chiesa. In pratica avrebbe scoperto una pentola dentro la quale stavano un sacco di venti nocivi che hanno creato la contestazione. La tesi più di sinistra, sostiene invece che il Sessantotto non è figlio del Concilio quanto piuttosto di una sua mancata applicazione”. Ma la sua tesi si colloca nel mezzo. “Non si può negare che ci sia stata una raccolta di linfe nel mondo cattolico, soprattutto quello intellettualmente e culturalmente più preparato che il Concilio aveva facilitato. C’era un’attesa, uno studio di testi, una circolazione di libri, di idee e di maestri, che il Concilio aveva messo in giro nel corpo della Chiesa italiana e che all’inizio soprattutto sembravano poter trovare l’applicazione migliore attraverso i moti del Sessantotto cattolico. Quindi è vero, che all’inizio è nato “conciliare”. Ma poi ha preso una sua strada. Più avanti ha scelto una strada che non era più sempre conciliare, a volte non era più neanche ecclesiale, e neppure più cristiana e religiosa”.
In effetti nel 68 italiano confluiscono altre componenti intellettuali, in particolare quelle legate a riviste quali Quaderni Rossi di Raniero Panzeri (chiusa nel 1966), capostipite di una serie di gruppi e movimenti politico-culturali, Classe Operaia di Padova, La Voce Operaia di Torino che, pur rappresentando esperienze minoritarie, si propongono l’impresa ambiziosa di revisionare la cultura della sinistra e assumono fondamentale importanza per la formazione politico-culturale della nuova sinistra.
4. I cattolici sono protagonisti fin della nascita del movimento studentesco a Milano, quando il 17 novembre 1967 viene occupata la Cattolica, l’ateneo fondato da padre Gemelli. Miglia di studenti sfilano per la città. È un fatto senza precedenti. Si avvia un dialogo tra gli studenti e le gerarchie. Il presidente dell’assemblea studentesca della Cattolica viene ricevuto in Segreteria di Stato dal Sostituto Giovanni Benelli. Ma lo strappo arriva inevitabilmente. Vengono espulsi gli studenti contestatori, a cominciare da Mario Capanna, il leader che guida l’occupazione e che, come altri leader del movimento studentesco, è cattolico praticante.
Anche alla Statale di Milano uno dei leader del Movimento Studentesco è Luigi Manconi, proveniente da una famiglia di stretta osservanza cattolica, egli stesso da studente liceale è animatore dei gruppi cattolici del dissenso in Sardegna.
All’Università di Trento (dove già nel ’66 si erano verificate agitazioni), i leader del movimento sono in prevalenza di estrazione cattolica. In particolare emerge la figura di Marco Boato (poi fondatore e capo di “Lotta Continua”), attivo in movimenti di ispirazione cristiana, nella FUCI, nelle ACLI e redattore di riviste quali «Dopoconcilio (a Trento) e «Questitalia (a Venezia). Margherita Cagol, che sarà la moglie di Curcio, ha anch’essa un passato da scout e da cattolica praticante.
Anche a Firenze, durante l’occupazione della facoltà di Giurisprudenza, si fa notare un giovane cresciuto nel cattolicesimo postconciliare che proprio in quella città aveva riferimenti di grande profilo, a cominciare da Giorgio La Pira. Piergiuseppe Sozzi da lì a pochi anni diventerà responsabile dell’organizzazione giovanile delle Acli, nel più turbolento periodo della storia dell’organizzazione.
Ma l’apporto dei cattolici al 68 non si può misurare solo per il ruolo che hanno assunto singoli leader direttamente impegnati nel movimento studentesco.

5. Certo è che nel 1968 il fenomeno del “dissenso”cattolico risulta molto esteso nelle diverse aree del Paese, toccando anche piccoli centri tradizionalmente assenti dai fermenti culturali. Si tratta di una galassia di realtà spontanee e di base (centri di studi politici e sociali, centri culturali, associazioni, gruppi parrocchiali, che comincia dialogare con il neonato movimento dell’università. Spesso i gruppi nascono intorno a riviste che sviluppano temi di impegno politico e culturale: Quest’Italia a Venezia, Note di Cultura e Testimonianze a Firenze, il Gallo a Genova, il Tetto a Napoli, solo per citare quelle più note.
Alcuni episodi di contestazione ecclesiale e di rottura di appartenenze politiche consolidate fanno da detonatore per tutta questa realtà: le forzate dimissioni di Raniero La Valle, direttore dell’Avvenire d’Italia, divenuto una delle voci più autentiche del rinnovamento conciliare; il successivo manifesto di accusa firmato da decine di associazioni, realtà di base, circoli (tra questi molti delle Acli) sulle responsabilità della gerarchia nel bloccare un discorso libero e pluralistico tra i cattolici; la presa di distanze di molti gruppi dal documento dell’episcopato italiano sul voto dei cattolici nel gennaio del 1968 (ancora proteso a raccomandare il voto unitario, ovvero democristiano); le dimissioni di Corrado Corghi dalla DC, dopo venticinque anni di responsabilità al suo interno, giustificate dall’inconciliabilità tra la sua coscienza di cristiano e le posizioni di politica estera del partito con riferimento alla tragedia del Vietnam; la candidatura di Gian Mario Albani, presidente delle Acli della Lombardia, nelle liste della sinistra indipendente; le dimissioni di Lidia Menapace da consigliera regionale e nazionale della DC; il cosiddetto “controquaresimale di Trento”, dove uno studente cattolico contesta pubblicamente il predicatore nella cattedrale; l’occupazione della cattedrale di Parma da parte di gruppi di giovani del dissenso all’insegna di una “chiesa dei poveri”; l’inizio della contestazione dell’Isolotto, il quartiere periferico di Firenze dove si consuma la rottura tra il parroco don Mazzi e il vescovo di Firenze, Florit.
L’Isolotto diventa immediatamente l’emblema della contestazione cattolica del ’68 e un riferimento anche per i non cattolici, esprimendo una “opzione per i poveri, i rifiutati, gli oppressi, gli affamati e assetati di giustizia”. E mentre la comunità di base di Firenze si collega con diverse realtà in lotta, costruendo legami con la Cattolica di Milano e con varie altre università, la Lettera ad una professoressa di don Milani diventa una sorta di “libretto rosso”, il manifesto del nuovo modello di educazione che il sessantotto intende introdurre: un’educazione non più nozionistica, paternalistica, autoritaria, classista.
6. I cattolici del dissenso alimentano il fenomeno dell’associazionismo. Aprono il confronto con altre esperienze provenienti da diverse radici culturali e politiche. Guardano ai gruppi di estrazione marxista o comunque laica che manifestano posizioni critiche nei confronti dei partiti della sinistra storica e con essi cominciano a creare esperienze di collaborazione. Guardano al movimento studentesco come soggetto in grado di operare nella prospettiva di un’innovazione profonda degli scopi della scuola e dell’università, perseguendo un cambiamento laico e anticlassista delle strutture culturali ed educative, trasformando i rapporti di potere interni alle medesime, agendo autonomamente, senza investiture partitiche.
Ricercano nuove forme di fare politica, attraverso la partecipazione dal basso, con uno spirito critico e dialettico, non riconoscendo più ai partiti tradizionali la volontà di operare per una vera e profonda trasformazione della società italiana e la rappresentanza delle nuove istanze sociali -pur non proponendosi come alternativa al sistema dei partiti.
La rivista Questitalia, diretta da Wladimiro Dorigo, si fa portatrice di un progetto di collegamento tra i circoli e gruppi spontanei caratterizzato dalla ricerca di un nuovo rapporto tra credenti e non credenti per la costruzione di una nuova sinistra. In questo ambito non si contesta solo la copertura ideologica che la gerarchia ecclesiastica offre al sistema capitalistico, comprimendo la presa di coscienza delle masse popolari cattoliche, ma anche le responsabilità della sinistra storica tesa a garantismi concordatari e a dialoghi opportunistici nonché alla conservazione di privilegi confessionali che impediscono la liberazione politica dei cattolici e l’affermazione della laicità dello Stato, contribuendo così a mantenere l’immobilismo del sistema.
Di fatto, se la gerarchia ecclesiastica reagisce duramente rispetto ai “dissidenti cattolici”, l’intera classe politica dimostra di non saper dare risposte efficaci alle istanze sollevate dagli studenti. La reazione di chiusura delle istituzioni accademiche alla domanda di innovazione di metodi e contenuti della didattica, la dura repressione con misure di ordine pubblico delle iniziali forme di lotta non violente, influiranno non poco sull’evoluzione del movimento verso forme di lotta violente.
Sul piano politico la logorata maggioranza di centro sinistra, basata sull’alleanza tra Dc e Psi, incapace di attuare le promesse riforme, si chiude a riccio. I partiti di opposizione di sinistra, il Pci e il Psiup, mostrano inizialmente una maggiore apertura nei confronti del movimento. Il Pci non tarderà a modificare il proprio atteggiamento, dimostrando prima un crescente sospetto e poi un’ aperta ostilità verso un movimento che fuoriesce dal suo ambito d’influenza. Nelle elezioni politiche che si tengono in maggio, il Pci registra una lieve avanzata mentre il neonato Psiup, cui va la maggior parte dei voti del movimento, raccoglie un certo successo.

7. Al cinquantesimo anniversario del 68 parteciperanno in molti, protagonisti di allora e critici del dopo. L’Università e la città di Pisa hanno già indetto la celebrazione dei 50 anni delle Tesi della Sapienza – un documento considerato il punto d’avvio delle elaborazioni, delle proposte e delle proteste che sfociarono da lì a pochi mesi nel movimento del 1968.
Sull’apporto dato a questo processo da esperienze di gruppi e di circoli cattolici – nonché da singole individualità che in quel periodo si imposero con la forza delle loro posizioni e soprattutto, delle loro opposizioni – non c’è discussione.
La discussione è semmai sulla capacità che queste componenti ebbero di distinguersi nella fase in cui la crescita della radicalizzazione ideologica portò prima all’affievolirsi della carica innovatrice del movimento studentesco e poi ad una deriva che sfociò nelle conseguenze nefaste rappresentate dal terrorismo rosso, trasformando in tragedia personale e collettiva quella che doveva essere l’“immaginazione al potere”.

img_4794
——————————–
rocca-4-2018

Gli editoriali di Aladinews

lampada aladin micromicroStartupper, di Gianfranco Sabattini.
———————————————————
img_4794Il 68 dei cattolici
di Dolores Deidda, su Rocca, ripreso da Aladinews.
———————————————————

La politica come partecipazione. Verso la presentazione di un libro sulla figura di Pier Giuseppe Sozzi. Un’occasione per ricordarne il pensiero, di grande utilità per affrontare i problemi dell’attualità

Layout 1Pier Giuseppe Sozzi (1947-2014) ha vissuto – in una dimensione di movimento e di organizzazione – i fermenti della stagione post-conciliare, la contestazione studentesca, le lotte e le conquiste operaie dell’“autunno caldo”, ma anche le involuzioni autoritarie, le stragi e le mancate riforme. Alla guida dell’organizzazione giovanile delle Acli nel periodo 1970-1973, ha analizzato temi centrali producendo originali proposte di impegno politico militante, volte a rafforzare la strategia unitaria del Movimento Operaio. Lo spessore e la coerenza della sua ricerca sono rilevati anche attraverso interviste ad amici ed esperti: Pierpaolo Benedetti, Lauro Seriacopi, Fausto Maria Tortora, Dolores Deidda, Angelo Gennari e Aldo Bondi. Le straordinarie qualità umane, politiche e culturali di quel giovane leader sono infine confermate da diciotto testimonianze, tutte concordanti sulla sua capacità di interrogarci, ancora oggi, su questioni che non possiamo relegare solo a un passato “glorioso”. Approfondimenti1 – Approfondimenti 2 – Approfondimenti 3.

In principio fu “Se puede”

musici a cortedi Raffaele Deidda

Congedandosi dai cubani, Barack Obama ha ribadito la volonta degli Usa di riprendere relazioni con Cuba, rimuovendo l’embargo voluto da John Kennedy nel 1961: “Possiamo fare questo viaggio insieme, da amici, da vicini, da famiglie”, e in spagnolo “Si, se puede” traduzione di “Yes we can”, slogan nelle sue campagne presidenziali. La versione spagnola ebbe il compito di conquistare il voto dei “latinos” con la promessa della Riforma Migratoria.

Non era originale. “Si, Se Puede” era il motto della lotta degli anni ‘70 condotta dall’United Farm Worker, sindacato dei braccianti “latinos” fondato da Dolores Huerta, insignita da Obama della Presidential Medal of Freedom. Obama a Cuba ha detto che bisogna dimenticare il passato e guardare al futuro con speranza. Volentieri – hanno commentato i cubani- purchè non si cerchi di cancellare la memoria storica e, soprattutto, lo sostengono le madri della Plaza de Mayo in Argentina, seconda tappa del viaggio di Obama in America Latina: no all’oblio, si alla giustizia.

In Italia è recente “Yes we can” “de noantri”. Reduce dal kennediano I care l’allora segretario del Pd, Walter Veltroni lo ha fatto suo nel 2008, con la maldestra traduzione “Possiamo vincere”. Il Pd, da solo, (poi alleato con l’Italia dei Valori e con candidati dei Radicali nel Pd) contro la Casa della Libertà, per uscire da “un bipolarismo rissoso e coatto”. Con Berlusconi l’Innominato o “Il principale esponente dello schieramento a noi avverso”. Sappiamo come finì. Da primo segretario del Pd Veltroni suscitò aspettative e speranze e, alle Politiche del 2008, guadagnò il 33% dei voti. Non sufficiente. Berlusconi vinse e andò al governo con una maggioranza corposa. Furono “dolores” per chi aveva creduto nel progetto del Pd, convinto che si sarebbe comunque caratterizzato a sinistra.

Più forti dolori arrivarono dalle Regionali in Sardegna. Clamorose la vittoria di Ugo Cappellacci su Renato Soru e le dimissioni di Veltroni il 17 febbraio 2009: “Mi assumo le responsabilità mie e non. Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto. Non è il partito che sognavo. Ce l’ho messa tutta ma non ce l’ho fatta. Chiedo scusa”.

Dario Franceschini, formazione e passato democristiano, divenne il nuovo segretario. Altri dolori per il “popolo della sinistra” che aveva accettato con molti mugugni il progetto politico del Pd. Il resto è attualità. A Franceschini succedette Pierluigi Bersani. Portò il Pd alle elezioni del 2013 con la coalizione Italia Bene Comune: liste del Pd, con candidati del Partito Socialista Italiano, Sel e Centro Democratico. Altri dolori. Ancora si discute in Sardegna dell’imposizione nelle liste del Pd sardo, consenzienti i dirigenti locali, del socialista pugliese Lello Di Gioia che alla Camera subito lasciò il gruppo del Pd per il Gruppo Misto. Ancora si ironizza sulle sue volontà programmatiche di lavorare per la Sardegna e prendere casa a Cagliari per seguire i problemi dell’isola.

Bersani si dimise nell’aprile 2013 e, dopo Guglielmo Epifani, il 15 dicembre arrivò alla guida del Pd Matteo Renzi che sfiduciò, nel febbraio 2014, Enrico Letta, determinandone le dimissioni con una mozione nella Direzione Nazionale del Pd e ricevendo l’incarico da Giorgio Napolitano di formare un Governo di larghe intese. L’ha formato, eccome! Con ministri e sottosegretari del PD, Nuovo Centrodestra, Unione di Centro, Scelta Civica, Centro Democratico e altri. Non bastasse, il berlusconiano Verdini oggi ritiene col gruppo “Ala” di far parte della maggioranza renziana avendo votato la fiducia sulle unioni civili.

Ma si può? Verdini condannato a due anni per corruzione e indagato per truffa. Yes we can, sostiene Renzi che ironizza: “Conosco un metodo infallibile per non avere Alfano e Verdini in maggioranza: vincere le elezioni, cosa che nel 2013 non è accaduta”. Quindi Alfano e Verdini si tengono, formano col Pd un governo eccezionale. Altro che la splendida solitudine di governo Pd ipotizzata da Veltroni nel 2008! E poi basta con gli slogan esterofili. Meglio hashtag-tormentoni che trasmettono fiducia e galvanizzano gli elettori. Quindi valanghe #lasvoltabuona, di #italiariparte, di #italiacambiaverso e mille altri nati e morti nell’arco di un soffio ma utili a comunicare l’incommensurabile premier. Che dichiara di guidare il paese con provvedimenti di sinistra, mica di destra fra cui “voler abbassare le tasse” e gli 80 euro.

La domanda cruciale è: il Pd si può considerare ancora un partito almeno di centrosinistra se non di sinistra? Ma certo che “se puede”! Lo sostiene la fedelissima corte, compresa quella sarda, mentre gli alleati di centrodestra a cui questa strana “sinistra” di Renzi non dispiace affatto sorridono.
———————-
- By sardegnasoprattutto / 26 marzo 2016 / Società & Politica/

Verso il Convegno “Innovazione e start up innovative”

Pubblichiamo nuovamente l’articolo di Dolores Deidda che ci sembra rafforzi la necessità di investire nell’innovazione (attraverso la giovane impresa innovativa e non solo) in modo particolare nel cagliaritano, che può legittimamente candidarsi al ruolo di “territorio intelligente”

Cagliari e sua area vasta quasi una Silicon Valley

di Dolores Deidda *
La stampa nazionale, con articoli recenti e meno recenti di Il Sole24Ore, La Repubblica, La Stampa ed una ricerca (CERPEM per INVITALIA) sul Mezzogiorno tecnologico di giugno 2012, ha rotto il silenzio degli organi di stampa e dei mass media sardi sul fatto che il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione. Da svariati anni (esattamente dal 2004) questa realtà produttiva non veniva più indagata. La difficile situazione di Tiscali aveva indotto gli scettici osservatori locali (che ancora liquidano come bolla la più innovativa, sia pur discontinua, esperienza di imprenditorialità originata nel territorio sardo) a ritenere che la scommessa fatta alla fine degli anni novanta fosse irrimediabilmente persa. Cagliari e la Sardegna non potevano più aspirare ad un futuro tecnologico o quanto meno ad un futuro che passasse per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, un terreno su cui Davide non era riuscito a sconfiggere Golia.

Cagliari e sua area vasta quasi una Silicon Valley

di Dolores Deidda *
La stampa nazionale, con articoli recenti e meno recenti di Il Sole24Ore, La Repubblica, La Stampa ed una ricerca (CERPEM per INVITALIA) sul Mezzogiorno tecnologico di giugno 2012, ha rotto il silenzio degli organi di stampa e dei mass media sardi sul fatto che il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione. Da svariati anni (esattamente dal 2004) questa realtà produttiva non veniva più indagata. La difficile situazione di Tiscali aveva indotto gli scettici osservatori locali (che ancora liquidano come bolla la più innovativa, sia pur discontinua, esperienza di imprenditorialità originata nel territorio sardo) a ritenere che la scommessa fatta alla fine degli anni novanta fosse irrimediabilmente persa. Cagliari e la Sardegna non potevano più aspirare ad un futuro tecnologico o quanto meno ad un futuro che passasse per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, un terreno su cui Davide non era riuscito a sconfiggere Golia.

I fatti, che gli osservatori esterni oggi rilevano, smentiscono questa versione e la disinformazione che si porta dietro. Non si tratta solo del ritorno di Tiscali, l’impresa pionieristica che perseguì un progetto di espansione a scala internazionale e che, pur ritornata “italiana”, è ancora una grande azienda con circa mille occupati, la terza in Sardegna per fatturato e valore aggiunto dopo le imprese del settore petrolifero (dati 2009). Tiscali riparte immettendo sul mercato servizi integrati di telecomunicazione, declinati in chiave social, che vanno a coprire “vuoti” di offerta nel campo dei servizi web che la diffusione di internet sta portando ad uno sviluppo inarrestabile.

Il successo che stanno ottenendo le applicazioni Streamago e Indoona (che nella versione 2.2 è più simile ad un social network) e il lancio del motore di ricerca Istella, sono segnali forti di questa ritrovata capacità di competere fuori dai confini domestici e di conquistare nuovi mercati, offrendo ciò che il mercato chiede, rispondendo nei tempi giusti alle esigenze degli utenti della rete in Italia e nel mondo.

Anche il caso Akela merita di essere richiamato perché questa impresa che ha raggiunto medie dimensioni, unica sopravvissuta tra quelle della costellazione ICT Saras-Atlantis, ha saputo crescere, incrementare il numero degli occupati e caratterizzarsi per le alte competenze in ambiti tecnologici avanzati, strategici per Solgenia, l’impresa che l’ha rilevata a marzo 2012 con l’obiettivo di sviluppare un’offerta altamente differenziata e competitiva nei segmenti di mercato del cloud computing, software applicativo e piattaforme per soluzioni in mobilità.

Ma le recenti performance di Tiscali e di Akela (ma anche di Softfobia e di Axis Strategic Vison) non basterebbero a dar conto di come è mutato il panorama imprenditoriale dell’ICT cagliaritano, che si mostra molto più articolato che nel passato, grazie soprattutto alla crescita numerica di piccole imprese ed all’emergere di componenti innovative che si affacciano sul mercato digitale globale con originali servizi e prodotti made in Sardinia.

La Camera di Commercio di Cagliari, dati Movimprese 2011, fornisce un quadro analitico delle 2229 imprese attive nell’ICT della provincia in cui, mentre la componente hardware (fabbricazione di computer e di unità periferiche) rimane estremamente minoritaria con 147 imprese, la componente dei Servizi di informazione e comunicazione con 1551 imprese presenta dinamiche di crescita che segnano con chiarezza le linee evolutive della specializzazione del sistema locale. Circa 350 di queste imprese svolgono attività di “sviluppo di software”, comparto ad alta tecnologia, e più di 800 sono attive nei “servizi informatici ed altri servizi d’informazione”, mentre la componente “attività editoriali” con 151 imprese e circa 500 addetti posiziona Cagliari tra i primi dieci Sistemi locali del lavoro in cui si concentrano tali attività. L’occupazione complessiva, utilizzando dati ISTAT sugli addetti medi per unità locale, è stimabile in poco meno di 10 mila unità.

Questo ecosistema digitale, il “mini Silicon Valley” di cui oggi si parla, è trainato da una nuova generazione di imprenditori high tech, formatisi prevalentemente nelle locali facoltà di Ingegneria ed Informatica ma conoscitori del mercato globale, collegati con esperienze d’oltre oceano, aperti alle nuove forme di internazionalizzazione, capaci di competere, e in alcuni casi di eccellere, sui mercati di nicchia che alimentano la cosiddetta app economy, facendo leva sulle proprie risorse cognitive quale principale investimento. Si possono citare i casi di imprese quali Agiletech, Applix (di recente approdata a Cagliari), Apps builder, Entando, Paperlit, Porcovino, Prossima Isola, Karalit, Reilabs, Sardegna.com, Sardex, Xorovo, prevalentemente start up e spin off, che stanno avendo successo, insieme a molte altre.

Il potenziale di queste esperienze, la qualità del capitale umano e delle competenze presenti nell’area di Cagliari non sfugge oggi ad investitori esterni interessati sia al sostegno di progetti innovativi di start up, sia ad investimenti diretti, come nel caso della multinazionale Amazon.

I decisori politici e istituzionali che fanno? Come intendono valorizzare questo sistema che nella crisi è cresciuto mentre il panorama industriale dell’isola diventava sempre più cupo? Con quali politiche pubbliche pensano di rafforzarlo, ben sapendo che l’ICT è un settore che l’Europa continua a considerare una priorità assoluta per il proprio futuro?
—–
Articolo pubblicato su Sardegnademocratica

Cagliari e la sua area vasta candidatura credibile come Territorio Intelligente

Il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione,

Leggete l’articolo di Dolores Deidda

L’innovazione (che era) invisibile ora si vede

su Sardegnademocratica