Risultato della ricerca: Gianni Pisanu

Oggi lunedì 4 dicembre 2023

img_3099 Cambiare la legge elettorale sarda
4 Dicembre 2023
Gianni Pisanu su Democraziaoggi

La Legge Elettorale è sempre quella.
La questione irrisolta della Legge elettorale si ripropone sempre quando è ormai troppo tardi. Le elezioni regionali sono vicine. Ritengo che una discussione sul tema possa comunque costituire un’opportunità da prendere in considerazione per tutti gli schieramenti. Le criticità che destra, sinistra, partiti, movimenti, che di volta in volta […]
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Oggi venerdì 30 settembre 2022

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——————–——Opinioni, Commenti e Riflessioni————————————————————
Analisi del voto: incontro alla Scuola di cultura politica
30 Settembre 2022
Proseguono i caffè politici della Scuola di cultura politica Francesco Cocco.

Oggi venerdì 30 settembre alle ore 18,30 si analizzerà il voto. Per chi non potesse partecipare nella sede di via Piceno viene allegato il relativo link per collegamento da remoto via Zoom.
Argomento: Caffè politico – analisi del voto introducono Rosamaria Maggio e Gianni Pisanu[…]
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A Meloni e alleati il record di seggi regalati. Impegno per una opposizione ferma dei pacifisti sardi
30 Settembre 2022
Red
La destra non ha vinto le elezioni
. Ha avuto un inspiegabile “donazione” da Letta, essendo matematica la maggioranza per la destra senza un’alleanza quantomeno tecnica, a sinistra. Letta l’ha rifìutata per subalternità al diktat Usa-Nato che, in vista di una guerra lunga e impegnativa in Europa, non vuole forze critiche nella maggioranza di governo in […]
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A causa della menzognera legge elettorale, l’Italia sarà governata da una minoranza
di Paolo Maddalena su PoliticaInsieme.
https://www.politicainsieme.com/a-causa-della-menzognera-legge-elettorale-litalia-sara-governata-da-una-minoranza-di-paolo-maddalena/
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demos-sardegnaDirezione regionale
Documento sul risultato delle elezioni politiche in Sardegna

La sconfitta della sinistra sarda è molto più cocente di quella nazionale perché i sardi hanno scelto ancora una volta la destra nonostante tre anni di giunta Solinas, una delle peggiori nella storia dell’Autonomia sarda. [segue].

Votare o astenersi.

d8073722-db1b-4d56-b111-7c2cdddd0e11 di Gianni Pisanu.
Partiamo dal beneficio di vedersi rappresentati in parlamento. Con questa legge devono verificarsi una serie di coincidenze del tutto al di fuori della volontà dell’elettore. Nella quota di seggi proporzionali, il 64%, che il candidato ideale sia presente nella lista del partito di riferimento allestita da chissà chi, che questo candidato, se presente, sia collocato in posizione utile per avere possibilità di essere eletto, cioè capolista poiché per gli altri non c’è speranza. Per la quota cosiddetta maggioritaria, il 36% dei seggi, il massimo della fortuna sarebbe ritrovare il proprio candidato ideale a rappresentare tutta la coalizione nell’ambito del collegio, in questo caso tutti gli elettori che esprimeranno il voto per una delle liste della coalizione, per “trascinamento” sarebbero contemporaneamente elettori del vostro candidato. Una meraviglia. Ancora, nella quota proporzionale, poniamo che una o più liste non superino la soglia nazionale del 3%, niente paura poiché i voti sarebbero equamente suddivisi fra tutte le liste della coalizione, es: la lista renziana resta sotto il 3% e così i voti arrivano agli altri, compresi noi compagni di sinistra. Una figata. Provate ad immaginare il contrario, finisce sempre con ata ma sarebbe tutta un’altra cosa.
Vediamo come saranno gli schieramenti. Ricordo che nel 2018 con questa legge l’unica lista di sinistra, Leu, andò da sola, superò per il rotto della cuffia lo sbarramento e mandò in parlamento una piccola rappresentanza dalla quota proporzionale. Sospiro di sollievo. In alleanza con i Verdi potrebbe coraggiosamente riprovare. La presenza di una Sinistra riconoscibile, votabile senza il rischio di versare l’obolo a coalizioni miste e confuse offrirebbe ad un elettorato in cerca di rappresentanza la possibilità di individuare chiaramente un approdo per il voto espresso
Viceversa, se a causa dell’ulteriore proliferare delle liste e conseguente frazionamento, questa volta la Sinistra superstite rimanesse sotto lo sbarramento e si trovasse accomunata (confusa) in una coalizione comprendente di tutto, da Renzi a Brunetta, o Carfagna ecc., assisteremmo al banchetto delle destre infiltrate nella coalizione con i resti della Sinistra Suicida. (Gianni Pisanu).

Oggi sabato 7 maggio 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni——————–
Legge elettorale regionale. È bene riformarla subito. Ecco qualche idea
7 Maggio 2022
Gianni Pisanu su Democraziaoggi.
Affrontare decisamente la questione soglie. Se soglia deve esserci che sia uguale per tutti. partiti, movimenti o liste; apparentate, collegate, coalizzate o meno devono avere lo stesso trattamento.
La soglia può essere del 2, o del 3, o del 4 %, l’importante è che sia uguale per tutti. La stabilità indicata come obiettivo da […]
- Approfondimenti su Aladinpensiero online.
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Misfatti se russi, errori se anglo-americani-(ucraini)?
7 Maggio 2022
A.P. Su Democraziaoggi.

Ci sono notizie che non vengono verificate dalla stampa “libera”, lasciando intendere che nascondono misfatti. Puo’ darsi che i misfatti ci siano, anzi è probabile. In guerra, da che mondo e mondo, ahinoi!, si ammazza brutalmente. Son rarissimi i gentiluomini che la fanno con onore. L”altro giorno si è detto che due pullmann di persone usciti […]
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ANPI. Preoccupato comunicato sulle gravi dichiarazioni di Guerini in commissione
7 Maggio 2022 su Democraziaoggi
“La Segreteria nazionale ANPI esprime preoccupazione per i contenuti dell’audizione del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini nelle commissioni riunite di Camera e Senato.
L’ammissione dell’invio in Ucraina di dispositivi militari, sia pur a cortissimo raggio, in grado di colpire postazioni in territorio russo contraddice l’auspicio di concrete e urgenti iniziative […]
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Fermiamo i padroni della Terra!
05-05-2022 – di Tomaso Montanari su Volerelaluna.
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Con il nonno e l’agnellino all’alba di un nuovo anno

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di Gianni Pisanu
La conoscenza fra mio nonno e “tiu Pedrigheddu” risaliva agli anni terribili della grande guerra. Erano tornati vivi e dopo quasi quarant’anni non si erano persi di vista. ​Tiu Pedrigheddu era un pastore di Thiesi ed aveva l’ovile a Baddemanna, a monte della cantoniera di Pianu. Non era sposato e aveva con sé due nipoti che lo aiutavano nella cura del gregge, era proprietario oltre che del grosso gregge anche delle terre dove teneva stabilmente l’ovile e questo gli consentiva di evitare la transumanza. Insomma tiu Pedrigheddu era uno che stava bene. Era un ometto minuto sempre vestito di nero, con la camicia bianca, le scarpe a polacchina, e un berretto di quel materiale nero lucido uguale a quello dei capelli dei monsignori, ma forse quello era l’abbigliamento dei giorni di festa o per le occasioni. Una volta al mese veniva a fare visita a mio nonno, o quanto meno, se era diretto a Sassari, scendeva dalla corriera e nel salutare dava appuntamento per il pomeriggio quando, al ritorno poteva fare una sosta di un paio d’ore prima di prendere l’ultima corriera con destinazione Ozieri che passava per la cantoniera. [segue]

Più partecipazione? Subito cambiare la legge elettorale sarda! Tre anni passano in fretta…

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locandina_conferenza_stampa lampadadialadmicromicro13Come preannunciato nel precedente editoriale, riprendiamo la proposta di profonda modifica della legge elettorale sarda, verso un’impostazione marcatamente proporzionale. Obbiettivo: favorire la partecipazione popolare, arrestando l’astensionismo che si verifica in misura crescente nelle competizioni elettorali. Mancano tre anni al rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna: occorre arrivare a tale scadenza con un rinnovamento di programmi e di persone che li possano rappresentare, con un sistema elettorale che svolga un’adeguata funzione selezionatrice. Due anni fa, precisamente il 24 giugno 2019 a Cagliari nella sala conferenze dell’associazione della stampa sarda, si svolgeva la conferenza stampa organizzata dal “Coordinamento dei Comitati sardi per la democrazia costituzionale” e dal “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” di presentazione del ricorso contro la legge elettorale sarda. Durante la conferenza stampa intervennero a spiegare le ragioni del ricorso Andrea Pubusa, Gabriella Lanero e Marco Ligas.
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Riproponiamo le ragioni del ricorso, che, come è noto fu respinto dal Tribunale Amministrativo regionale, perché appaiono tuttora validissime nel merito, tanto da supportare l’indispensabilità della modifica radicale dell’attuale legge elettorale sarda, che tutte le forze politiche hanno dichiarato di voler modificare, ma senza che alle buone intenzioni sia finora seguito uno straccio di proposta operativa! Riprendiamo allora il discorso, a sostegno della ripresa dell’iniziativa da parte dei nominati Comitati e di tutte le organizzazioni favorevoli al cambiamento.
Ecco quanto riportava il documento di presentazione del ricorso (che riproduciamo integralmente).
Un gruppo di elettori ed elettrici democratici della Sardegna hanno presentato al Tar Sardegna un ricorso col quale impugnano l’atto di proclamazione degli eletti effettuato il 23 marzo scorso dalla Corte d’appello di Cagliari. Nell’intendimento dei proponenti, il ricorso dovrebbe portare la legge elettorale all’esame della Corte Costituzionale e alla correzione dell’atto di proclamazione degli eletti con una conseguente nuova composizione del Consiglio regionale. Quali censure muovono questi cittadini e cosa chiedono al Giudice amministrativo? La insufficienza della disciplina sulla parità dei genere, l’eccessivo premio di maggioranza, le alte soglie di sbarramento, il voto disgiunto, la mancata elezione del terzo candidato alla Presidenza a differenza del secondo, l’adesione fittizia di consiglieri uscenti a liste per evitare la raccolta delle firme. Più precisamente l’insufficienza della disciplina sulla parità uomo-donna, che consente il voto solo per un genere, escludendo l’altro, col risultato della elezione di solo otto donne. [Se la Corte costituzionale avesse accolto questo rilievo, il Tar avrebbe annullato le elezioni del 24 febbraio e si sarebbe dovuto andare a nuove elezioni].
Premio di maggioranza. La seconda censura riguarda il premio di maggioranza. E’ eccessivo e privo di ragionevolezza assegnare al candidato presidente più votato, che ha il 40% dei voti il 60% dei seggi. Questo premio di maggioranza viola il carattere uguale del voto in uscita, ossia nel momento dell’assegnazione dei seggi.
Impugnazione delle soglie di sbarramento. E’ illegittimo poi lo sbarramento al 10% e al 5% o quantomeno il primo. Questa soglia è volta ad assicurare ai partiti maggiori il monopolio del governo e dell’opposizione. Una conventio ad excludendum per legge nei riguardi delle liste minori non allineate e coperte, che viola il carattere democratico dell’ordinamento.
Rappresentanza territoriale. Viene portata all’attenzione del giudice amministrativo e della Corte costituzionale anche la violazione della rappresentanza dei territori, che è anch’esso un vulnus del principio di uguaglianza del voto. Il Medio-Campidano, l’Ogliastra e il Sulcis-Iglesiente hanno avuto meno seggi di quanti la stessa legge elettorale sarda (art. 3) ne prevede in ragione del numero degli elettori delle diverse circoscrizioni.
No alle adesioni fittizie a liste per escludere la raccolta delle firme. Infine, bando alle furbate che consentono di esentare dalla raccolta delle firme le liste che non hanno mai eletto consiglieri regionali. Alcuni consiglieri regionali uscenti, pur rimanendo nelle proprie liste d’origine, hanno fittiziamente aderito ad altre liste per consentir loro la partecipazione alle elezioni senza raccogliere firme. Ciò è stato possibile grazie all’art. 21 della legge-truffa, che viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
La mancata elezione del candidato presidente del M5S. Desogus, terzo classificato, a differenza del secondo e primo perdente Massimo Zedda, non è stato eletto presidente.
Il voto disgiunto, per violazione del principio di chiarezza del voto. (…)

Per i Comitati promotori
Andrea Pubusa, Marco Ligas, Franco Meloni, Roberto Loddo.
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Un nostro commento alla sentenza del Tar che respingeva il ricorso dei Comitati contro la legge elettorale sarda, che riteniamo mantenga validità.
Franco Meloni, 8 Luglio 2019 – 19:48
Le leggi elettorali costituiscono uno dei terreni decisivi per la stessa sopravvivenza della democrazia nel nostro come negli altri Paesi. Un terreno di duro scontro che ci vede contrapposti (noi dei movimenti democratici di base) alla quasi totalità della classe politica (senza grandi distinzioni tra quella di governo e quella di opposizione). La classe politica non arretra rispetto ai privilegi che si è costruita in odio al popolo. La vicenda della pessima legge elettorale sarda è emblematica: due tornate elettorali che hanno dato prova della inadeguatezza della legge e nessun segno di volerla cambiare, nonostante le molte parole e i solenni giuramenti espressi al riguardo. Anche i cattolici democratici hanno preso consapevolezza di tutto ciò, come attesta un recente resoconto dell’iniziativa tenutasi il 3 luglio u.s. a Roma promossa dalla rivista online “Politica Insieme”, di cui riporto uno stralcio: occorre “una indicazione precisa per un sistema elettorale a forte impronta proporzionale che consenta effettivamente alla pluralità di presenze sociali di indirizzi culturali attivi nel Paese di sentirsi inclusi, attraverso una trasparente rappresentanza parlamentare [discorso analogo per le Regioni e gli Enti locali] nelle dinamiche della nostra convivenza civile e democratica”. La battaglia è dunque dura, considerato il consistente fronte nemico contro di cui dobbiamo combattere per disporre di leggi elettorali democratiche, che favoriscano la partecipazione popolare, in linea con la nostra Costituzione.
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Elezioni regionali 2019
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Dall’Archivio di Aladinpensiero online (19 novembre 2017).
Legge elettorale sarda. Pubusa: guardiamo alla Sicilia. Quasi come Lussu per lo statuto sardo
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ape-innovativaRicordate la vicenda della formazione dello statuto sardo quando Emilio Lussu e Mario Berlinguer, preoccupati dei ritardi della Consulta sarda nella redazione del testo statutario, proposero al governo di estendere alla Sardegna lo statuto che era stato ottenuto dalla Sicilia? Ma, nonostante la disponibilità governativa di accedere a tale richiesta, i consultori sardi rifiutarono sdegnosamente l’idea di uno statuto “concesso dall’alto”. Pertanto non se ne fece nulla. Sapete come andò a finire: il 31 gennaio 1948 – in articulo mortis, cioè allo scadere definitivo del suo mandato – l’Assemblea Costituente approvò lo Statuto proposto dalla Consulta sarda, dotato di minori competenze rispetto a quelle riconosciute alla regione Sicilia.

Tale vicenda mi è tornata in mente rispetto alla pressante richiesta del Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria di dotare la Sardegna di una nuova legge elettorale, che sostituisca quella indecente attualmente vigente. Stiamo parlando evidentemente di due questioni diverse, ma con analogie nel metodo proposto e nelle conclusioni, che così sintetizziamo: Cari consiglieri regionali sardi, se non ce la fate a proporre una legge elettorale che garantisca la rappresentatività democratica dei sardi, adottate la legge siciliana, con alcune importanti correzioni che la facciano corrispondere sostanzialmente a tale scopo. Infatti la legge elettorale siciliana, con alcune importanti modifiche, può corrispondere nella sostanza alle indicazioni contenute nell’apposito documento di principi formulato dal Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria, a cui rimando.

Per spiegare in dettaglio questa proposta di seguito riporto gli interventi di Andrea Pubusa e di Gianni Pisanu, rispettivamente coordinatore e componente del CoStat.
(segue)
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Legge elettorale regionale: in Sardegna (…). Quali spunti dalla Sicilia per una vera riforma?
(…) Occorre una riflessione e un impegno a tutto tondo per fare una nuova legge elettorale, in sintonia con la Costituzione e lo Statuto. E’ quanto sta facendo il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (già Comitato per il NO), che mercoledì prossimo illustrerà al Presidente del Consiglio Ganau le linee guida per una vera riforma elettorale: sistema proporzionale, scelta diretta del presidente, meccanismi per una reale parità di genere, eliminazione dello sbarramento di coalizione, riequilibrio territoriale.
In proposito alcuni spunti vengono dalle recenti elezioni sicule. L’Assemblea regionale siciliana, infatti, è stata eletta nei giorni scorsi con una nuova legge elettorale. Di essa abbiamo già detto, ma è bene riparlarne ora, per valutarla alla prova dei fatti.
Quali le novità? Grazie a questa recente legge il plenum è passato da 90 a 70 deputati, tra di loro anche il presidente della Regione eletto direttamente dai votanti. Dei 70 parlamentari regionali, 62 (finora erano 80) sono stati eletti con il sistema proporzionale, mentre nel cosiddetto “listino del presidente” sono sette gli eletti, presidente compreso. L’ultimo seggio viene assegnato di diritto al candidato presidente secondo classificato. Per quanto riguarda l’attribuzione dei seggi, essa – come detto – avviene su base provinciale. E qui vengono le dolenti note perché le circoscrizioni sono molto disomogenee: Palermo eleggerà 16 deputati (finora erano 20), Catania ne avrà 13 (al posto degli attuali 17), a Messina 8 (erano 11), ad Agrigento 6 (prima erano 7), a Siracusa e a Trapani 5 (Trapani ne aveva 7 mentre Siracusa ne aveva 6), a Ragusa spettano 4 seggi (ne aveva 5), a Caltanissetta 3 seggi (ne aveva 4) e a Enna 2 seggi (ne aveva 3). I seggi sono assegnati con il metodo proporzionale e l’attribuzione dei più alti resti (con recupero sempre a livello provinciale) alle liste che abbiano superato lo sbarramento del 5% a livello regionale.
Questa, in sintesi, la disciplina contenuta nella nuova legge elettorale siciliana. E’ un modello utile per la riflessione e il dibattito in corso da noi, in Sardegna. L’elemento che colpisce è che il sistema siciliano è proporzionale con scelta diretta del presidente da parte degli elettori. In Sardegna molti proporzionalisti ritengono le due cose incompatibili e sbagliano. Sono compatibili, il problema è la c.d. governabilità perché il presidente eletto deve poi trovare in consiglio la sua maggioranza. Ma questo vale anche per chi opti per il sistema proporzionale senza scelta diretta del presidente. In questo caso in Consiglio si deve formare la maggioranza e trovare anche il presidente.
Vediamo i punti a prima vista discutibili.
Anzitutto. lo sbarramento del 5% su base regionale per partito/coalizione con sistema proporzionale per l’elezione dei consiglieri su base provinciale. Il 5% è troppo alto? Può bastare il 3%? O soltanto l’avere un quoziente pieno almeno in un collegio? Secondariamente, è molto penalizzante l’elezione dei consiglieri su base provinciale. La lista Fava, ad esempio, ha avuto un solo seggio con circa 100 mila voti, mentre il PD ne ha avuto 11 con circa 250 mila voti. C’è sproporzione, il principio di rappresentatività è palesemente violato. In un sistema correttamente rappresentativo Fava avrebbe dovuto avere almeno 3 seggi, se non 4. Quali i rimedi? Raccogliere i resti su base regionale? O disegnare circoscrizioni provinciali più omogenee per popolazione e seggi?
Infine, non c’è premio ufficiale, ma ce n’è uno camuffato. Il listino del presidente, molto ampio (7 consiglieri). Con maggioranza a 36 (50%+1) la quota del listino rappresenta circa 1/5 della maggioranza teorica. E’ troppo alta? Va ridotta? O completamente abolita?
Insomma, la nuova legge siciliana è più equilibrata di quella truffaldina vigente in Sardegna (che rimarrà tale anche con più donne), ma presenta alcune evidenti e gravi criticità, sopratutto in relazione al principio di rappresentatività. Comunque offre interessanti spunti di riflessione per il movimento isolano che si batte per una nuova legge elettorale regionale, anche perché coniuga l’elezione diretta del presidente a ad un sistema proporzionale corretto nella distribuzione dei seggi, che – da noi – molti ritengono incompatibili. Con qualche miglioramento il testo siciliano può costituire una base utile per la Sardegna.
(Su Democraziaoggi del 10 novembre 2017)

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Legge elettorale siciliana: spunti per la Sardegna?
18 Novembre 2017

Gianni Pisanu del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria, su Democraziaoggi.
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(Il Comitato illustra al Presidente Ganau le proposte per una vera riforma elettorale)

Possiamo ragionare sulla legge elettorale siciliana in chiave sarda? Intanto la prima novità. E’ una legge proporzionale – presidenziale, secondo alcuni un ossimoro e invece compatibile, almeno fino a prova contraria al vaglio della pratica. Ha un premio dell’8,5 % alla coalizione del Presidente, più modesto degli iperpremi della legge sarda: 55% dei seggi alla coalizione che supera i 25% e non il 40%, 60% dei seggi a chi supera questa soglia.
L’Assemblea è composta da 70 membri, di cui 62 ( 88,5 %) eletti con sistema proporzionale; 7 seggi, di cui 1 al presidente eletto assegnati ai partititi o liste coalizzate col listino del presidente ; 1 seggio al candidato presidente primo dei non eletti. Lo sbarramento per le liste è del 5% in ambito regionale, senza distinzione fra liste singole o coalizzate. In casa nostra sbarramento al 5% per le singole liste e al 10% per le coalizioni, con l’effetto assurdo di impedire alla Murgia di essere in Consiglio con 75 mila voti.
Il territorio siculo è stato diviso in 9 circoscrizioni corrispondenti alle provincie storiche. Così la coalizione di Destra con il 42, 041 % dei voti di lista ottiene 36 seggi – ( 29 + 6 + 1 ), la lista M5S con il 26,674 % 20 seggi – (19 + 1 ), la coalizione guidata dal PD con il 25,405 % 13 seggi. la lista di sinistra con il 5,266 % 1 seggio.
Questo quadro sintetico consente di individuare i punti critici.
La notevole differenza di dimensioni fra le 9 circoscrizioni: Palermo 16 seggi- Catania 13 – Messina 8 – Agrigento 6 – Trapani 5 – Siracusa 5 – Ragusa 4 – Caltanissetta 3 – Enna 2 – tot. seggi 62, determina in molti casi, tranne Palermo e in parte Catania, l’attribuzione di seggi solo alle formazioni maggiori, e l’esclusione di tutte le altre anche di una certa consistenza. E’ certo che nelle circoscrizioni medio piccole i seggi saranno appannaggio esclusivo delle formazioni maggiori a prescindere dalla validità o meno dei candidati. Questo effetto determina un deficit di rappresentanza in termini politici (Fava ha un solo seggio con 100 mila voti; il PD 11 con 250 mila) e sul piano territoriale.
C’è un rimedio? Ridisegnando le circoscrizioni, riducendole di numero, es. 4 circoscrizioni o massimo 5 da 12 a 18 seggi ciascuna e rendendole più omogenee, il bacino elettorale darebbe maggiori possibilità di scelta all’elettorato e si avrebbe un maggior equilibrio politico e territoriale.
E lo sbarramento? Attualmente è al 5%. Col 3 si avrebbe una maggiore rappresentatività. Quindi, guardando alla nostra Isola, si potrebbe eliminare lo sbarramento, pretendendo solo un quoziente pieno in almeno una circoscrizione o lo sbarramento al 3%, che, in pratica è più o meno la stessa cosa.
Vediamo altri dati significativi.
Il PD con 250.633 voti ha ottenuto 11 seggi, la lista 100 passi con 100.583 ne ha ottenuto 1 (uno), la lista Fd’I – Lega con 108.713 ne ha ottenuto 3, la lista Sicilia futura con 115.751 voti 2, la lista ” Diventerà bellissima” con 114.708 voti 4. I seggi sopra riportati si intendono al netto del premio per la lista del Presidente eletto, che senza il seggio presidenziale compensato dal seggio al candidato presidente dell’opposizione consistono in 6 seggi pari – come si è già detto – all’ 8,57% dell’assemblea e 1/6 della maggioranza.
Come si vede, ci sono evidenti disparità nella distribuzione dei seggi. Giocando sulla dimensione delle circoscrizioni e riducendo o eliminando lo sbarramento si avrebbe un risultato più vicino alla forza reale delle singole liste. Comunque la legge siciliana offre spunti di riflessione per cambiare la legge sarda. Con qualche ritocco potrebbe essere adattata alla nostra regione. Ma nei palazzi del potere non è alle viste l’intendimento di lavorare ad una vera riforma. Tutte le sigle presenti in Consiglio, grandi e piccole, si tengono stretta la vigente legge truffa, con buona pace dei sardi.

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La differenza tra gatto e leone*
La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2004

La storia dello Statuto sardo comincia lo stesso giorno in cui finisce la guerra in Italia. 29 aprile 1945: mentre a Piazza Loreto la macabra esposizione dei cadaveri di Mussolini e degli altri fucilati di Dongo chiude nell’orrore il ventennio fascista, si riunisce a Cagliari la Consulta regionale. Cerimonia solenne, aperta da un lungo messaggio di Ivanoe Bonomi che indica nella preparazione della carta autonomistica della Sardegna il compito principale del nuovo organismo.
Finisce la dittatura, nasce la democrazia: qualcuno dice «rinasce», perché anche l’Italia prefascista lo era. Ma la Consulta nazionale, qualche mese dopo, sarà inaugurata da una dura polemica fra Ferruccio Parri, uno dei capi della guerra di Liberazione, e Benedetto Croce, il patriarca dell’Italia liberale, proprio su questo punto: per Parri quella che c’era prima del fascismo non era una vera democrazia, ma un regime di oligarchie borghesi. Il «Vento del Nord» dovrebbe portare aria nuova.
Quell’aria nuova si dovrebbe sentire anche in Sardegna, una delle pochissime regioni d’Italia (quasi l’unica) che sia stata risparmiata dalla guerra guerreggiata, dallo scontro e dal passaggio degli eserciti contrapposti. Emilio Lussu, che è in questo momento (nonostante i mugugni di qualche vecchio notabile del suo partito) l’unico vero leader dell’isola che abbia avuto esperienze europee, nel giugno 1943, pochi giorni prima di tornare dall’esilio francese, ha scritto un librino intitolato «La Ricostruzione dello Stato». Lo Stato cui pensa è uno stato federale e socialista. Quando è tornato in Sardegna, nel luglio del ’44, subito dopo la liberazione di Roma, ha chiamato «compagni» gli amici sardisti d’un tempo, con grande loro sconcerto. La cultura che circola nel mondo politico sardo è una cultura libresca, che gli intellettuali di provincia contrari al fascismo hanno messo insieme leggendo i testi che riuscivano a penetrare nella cortina (a maglie larghe, bisogna dire) della censura del regime. Sono soprattutto avvocati, delle città piccole e grandi, che hanno testimoniato le loro idee politiche spesso coraggiosamente: Gonario Pinna, a Nuoro, è stato proposto più volte per il confino, Michele Saba, a Sassari, è stato arrestato due volte, e una tenuto a lungo a Regina Coeli. C’è stato anche un antifascismo operaio e proletario, molta gente è finita nelle isole (in «villeggiatura», come diceva il titolo d’un film di Marco Leto) o davanti al Tribunale speciale. Ma la loro voce, di cui pure si fanno eco i partiti di sinistra, è molto meno ascoltata dell’altra.
Il discorso l’ha aperto una volta Guido Melis, a proposito della debolezza sostanziale dello Statuto sardo: quello Statuto era cosi debole perché era debole, non aggiornata, la cultura degli uomini che lo scrissero? È un fatto che di questa debolezza si cominciò a vedere i segni da subito, mentre lo Statuto era ancora nel ventre della Consulta. Che, intanto, di progetti di statuto ne approntò soltanto due, uno firmato Dc e l’altro firmato Psd’A (le sinistre non volevano immischiarsi, arroccate com’erano, allora, su posizioni antiregionaliste), e presentati per di più a poco meno di un anno dall’entrata in funzione della Consulta. Intanto la Sicilia aveva avuto il suo Statuto: Mario Berlinguer e Emilio Lussu capirono i danni che poteva fare tutto quel ritardo e proposero al governo di estendere alla Sardegna lo statuto «forte» che era stato dato ai siciliani. I consultori cagliaritani rifiutarono con sdegno l’idea di uno statuto «octroyé», come si diceva, cioè graziosamente concesso dall’alto invece che duramente conquistato dai diretti interessati – che tanto duri, in realtà, non erano. Ancora a luglio del 1947 Lussu implorava il governo, alla Costituente, perché si sbrigasse a dare all’isola lo strumento autonomistico. «Faciamus experimentum», lasciateci fare questo esperimento, aveva già chiesto cinquant’anni prima l’economista Giuseppe Todde. Ma in quel luglio del ’47 troppe cose erano cambiate. A primavera De Gasperi aveva estromesso comunisti e socialisti dal governo di unità antifascista, la Dc si stava spostando sempre più velocemente a destra mentre le sinistre si erano (tardivamente) convertite al regionalismo.
Lo Statuto che arrivò alla Costituente aveva già subito tutti gli indebolimenti di cui gli schieramenti politici isolani di maggioranza si erano fatti carico. La commissione della Costituente incaricata di esaminare il progetto ci mise altro del suo. C’è un dato irrefutabile: l’Assemblea aveva concluso la sua esistenza il 31 dicembre 1947, appena varata la Costituzione. Durava in carica sino alla fine di gennaio soltanto per assolvere a due compiti, come dire?, complementari: approvare gli statuti delle cinque Regioni a statuto speciale e fissare le norme per l’elezione del Senato. Allo Statuto sardo furono dedicati due giorni, il 28 e il 29. C’era aria di liquidazione, come quando una famiglia si prepara a traslocare. E c’era anche l’opposizione dei liberali: quella di Einaudi (vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio) agli articoli sull’autonomia finanziaria della Regione fu cosi forte che si dovette sospendere la seduta, il vecchio guru Francesco «Ciccio» Nitti gridò che quello statuto minava le basi stesse dello Stato.
Lo Statuto fu votato il 31 gennaio, verso le dieci di sera. Mancavano due ore alla fine della Costituente. Su 362 votanti, ebbe 280 voti a favore, 81 contrari. Lussu era scontento. «Al momento del voto dissi a Pietro Mastino – avrebbe ricordato – che votavo a favore solamente per evitare che per un solo voto lo Statuto non venisse approvato neppure cosi ridotto». Ricordando quel momento, Lussu ci ha lasciato una delle sue indimenticabili battute: «Lo Statuto che ci diedero somigliava a quello che i sardi avevano sognato per anni come un gatto somiglia a un leone: l’unica cosa che hanno in comune è che tutt’e due appartengono alla famiglia dei felini».
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* La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2004

Ridiamo per non piangere

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Posso?

schermata-2021-03-18-alle-12-17-01La competenza e la Sinistra
di Gianni Pisanu
Ormai oltre che una nazione di commissari tecnici della nazionale di calcio, siamo una nazione di virologi epidemiologi e ultimamente anche di esperti di vaccini. Forse era inevitabile e anche giusto.
Ma ultimamente va di moda la competenza. Prendiamo Draghi e il “cambio di passo”. Schiere di giornalisti e politologi dalle trasmissioni di tutti i canali TV elencano i prodigi del nuovo governo, iniziando dall’orario delle riunioni del consiglio dei ministri, comunicate come “riunioni di Mario Draghi con i suoi ministri”, cioè non con se stesso, poi non più “ristori” ma “sostegni”, cambio della formazione nel comitato tecnico scientifico con l’inserimento di “previsori” che finora non ne hanno azzeccato una nemmeno per sbaglio, e ancora apprezzamenti per la “comunicazione silenziosa” che al contrario di prima dovrebbe convincere gli italiani del “cambio di passo”, oggetto misterioso decantato dalla quasi totalità dei media. Ovviamente alle lodi per la politica della pretesa competenza si aggiungono critiche e attacchi fino al dileggio se qualcuno ancora si permette di parlare di evasione fiscale, diseguaglianze, o sfiorare problematiche con qualche idea anche vagamente assimilabile a qualcosa di sinistra. Vedasi il trattamento riservato a Zingaretti già da quando si è permesso di diventare segretario del suo partito stravincendo il congresso, cosa ormai superata e considerata archeologia otto-novecentesca. [segue]

Oggi lunedì 15 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
Supermario un miracolo l’ha già fatto: non ha ancora iniziato e già perde pezzi!
15 Febbraio 2021
A.P. su Democraziaoggi.
SuperMario un primo miracolo lo ha fatto subito. Ha formato un governo che ha già la contrarietà di una buona fetta dei parlamentari che dovrebbero sostenerlo. 5 Stelle, PD e Leu sono in subbuglio. E non c’è da dar loro torto. Si dirà, ci vuole responsabilità. Certo, non lo si può negare. Incombono le urgenze. […]
———————————————————-Un nostro commento
lampada aladin micromicroPoteva andare diversamente? Sicuramente. [segue]

L’Assemblea della Costituente Terra: approvato lo Statuto e il bilancio e eletti i dirigenti. Raniero La Valle confermato presidente.

costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Oggi mercoledì 28 ottobre in seconda convocazione e in video-conferenza alle ore 12 si è svolta l’assemblea di “Costituente Terra” per l’approvazione del nuovo Statuto (lo trovate qui), e l’elezione degli organi sociali. Raniero La Valle confermato presidente.
Quanti non hanno potuto partecipare all’assemblea o comunque hanno interesse ai lavori conclusi potranno in seguito trovarne la registrazione sul sito CT nella sezione: “Attività della Scuola”. Nella stessa sezione saranno disponibili i documenti approvati (Statuto, bilancio, organi sociali) e sintesi degli interventi. La delegazione sarda, presente in video: Maria Teresa Arba, Pierpaolo Loi, Lina Ibba, Franco Meloni, Gianni Pisanu.
Di seguito due foto della video-assemblea di oggi con il presidente Raniero La Valle e con il relatore Luigi Ferrajoli.
www.costituenteterra.it
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Tutto aperto?

cf595a22-97e2-4ea4-ac72-806b7ee71db7CARTELLO ALT FERMA STOP 03 VETTORIALEdi Gianni Pisanu
Passaporto prego
L’arrivo delle persone nella nostra isola deve pur riprendere. Lo sapevamo tutti e non da oggi ma da tre mesi che la chiusura era temporanea e non eterna. L’allarme per l’arrivo di persone provenienti dal nord Italia è comprensibile, ma viene da rispondere domandandosi cosa abbia fatto in questi tre mesi la Sardegna per non essere presa dal panico al momento della riapertura. [segue]

In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo

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Sbilanciamoci, 18 Aprile 2020 | Sezione: Apertura, Società
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Dopo la pandemia l’Italia non sarà più come prima. Tocca a noi progettare la ricostruzione. In questi “10 punti”, 42 studiosi ed esponenti della società civile aprono la discussione sulle risposte alla crisi e il futuro del Paese: 10 punti per un percorso comune di proposte e pratiche di cambiamento.

Dopo la pandemia di coronavirus l’Italia non sarà più come prima. L’economia arretra, la società si frammenta, la politica fatica a pensare al futuro. Tocca a noi tutti progettare la ricostruzione di un paese migliore, di un’Italia in salute, giusta e sostenibile. Proponiamo un percorso che individui dieci punti fermi, sulla base delle elaborazioni già presenti tra esperti e organizzazioni sociali. A partire da questi si possono sviluppare le linee guida da un lato per le misure d’emergenza immediata, e dall’altro, in una prospettiva più ampia, per i comportamenti delle imprese, le iniziative della società civile, le politiche future.

I dieci punti fermi che proponiamo sono:
1. la ricostruzione di un sistema produttivo di qualità con un nuovo intervento pubblico
2. un’economia sostenibile sul piano ambientale
3. la tutela del lavoro, la riduzione della precarietà, la garanzia di un reddito minimo
4. la centralità del sistema di welfare e dei servizi pubblici universali
5. la centralità del servizio sanitario nazionale pubblico
6. la tutela del territorio e una casa per tutti
7. la riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali
8. la riduzione delle disuguaglianze che colpiscono le donne e il riconoscimento del lavoro di cura
9. la giustizia nell’imposizione fiscale
10. un quadro europeo e internazionale coerente con un’economia e una società giusta.

Il percorso che proponiamo è la formazione di un gruppo di lavoro di esperti che sviluppi i dieci punti fermi in proposte concrete – ambiziose ma realizzabili – di interventi economici, cambiamenti sociali, riforme politiche e istituzionali. E la formazione allo stesso tempo di un’alleanza tra organizzazioni sociali, sindacati, campagne della società civile, comunità ed enti locali, forze politiche che condividono questa prospettiva e si impegnano a realizzare i cambiamenti proposti.

Introduzione

La pandemia di coronavirus ha creato una situazione di emergenza che riguarda le nostre vite, il lavoro, l’economia, la società. Nel primo mese ha causato 14mila morti in Italia. Metà dell’umanità è chiusa in casa. Ha imposto pesanti limitazioni sociali e sacrifici economici ai cittadini. Ha aggravato oltre misura il carico di lavoro del personale della sanità, provocando molte vittime. Ha costretto il governo – in Italia come altrove – a prendere misure straordinarie per tutelare la salute e limitare le conseguenze economiche e sociali: tra spesa pubblica diretta per sussidi e garanzie sui prestiti alle imprese siamo arrivati all’ordine di grandezza di un quarto del Pil italiano. Molti hanno paragonato la crisi attuale a una situazione di “guerra”, che richiede una mobilitazione di risorse economiche ed energie sociali senza precedenti. La risposta all’emergenza ha tuttavia stimolato una nuova solidarietà, il senso di comunità, la speranza di poter realizzare i cambiamenti necessari.

Oggi, nel mezzo dell’emergenza, è necessario utilizzare queste risorse sociali e gli strumenti messi in campo dalle politiche non solo per affrontare le esigenze immediate, ma anche per progettare come possiamo ricostruire l’economia e la società italiana dopo la pandemia. Quale Italia vogliamo?

Innanzi tutto un’Italia in salute, capace di garantire a tutti condizioni di vita adeguate, capace di prevenire le malattie e curare le patologie sociali, capace di restare uno dei paesi con la più alta speranza di vita del mondo.

Poi, un’Italia giusta. Di fronte a una pandemia che può colpire tutti, e che chiama tutti a cambiare le proprie vite, l’esigenza di giustizia deve tornare a prevalere dopo decenni in cui le disuguaglianze si sono allargate, i profitti sono cresciuti a danno dei salari, i guadagni della finanza, concentrati tra i più ricchi, sono stati elevatissimi.

Infine, un’Italia sostenibile. Sono molti i legami tra l’insostenibilità ambientale del nostro modello di sviluppo e il peggioramento delle condizioni di rischio e di salute. Il cambiamento climatico è alla radice di molti dei disastri “naturali” e degli “eventi estremi” che hanno colpito il paese. Solo un’Italia sostenibile dal punto di vista ambientale, protagonista nel contrasto a livello mondiale al cambiamento climatico, può prevenire nuove gravi emergenze di origine ambientale.

In questa cornice è necessario ribadire la necessità di un rafforzamento della nostra democrazia, attraverso la partecipazione dei cittadini e il corretto funzionamento delle istituzioni. È questo il modo migliore per combattere i rischi di restrizione dei diritti, autoritarismo e nazionalismo che attraversano il nostro paese.

La crisi economica e sociale e le misure già introdotte fanno emergere alcuni punti fermi da cui partire; individuiamo qui dieci punti che possono definire la traiettoria per l’Italia da ricostruire dopo la pandemia, in un’Europa capace di cambiare rotta. Dieci punti fermi su cui costruire un percorso di approfondimento – con l’impegno di un gruppo di lavoro di esperti – per arrivare a proposte e linee guida per le attuali misure d’emergenza, per i comportamenti delle imprese, per le iniziative della società civile, per le politiche future. Dieci punti fermi su cui costruire un’alleanza tra organizzazioni sociali, sindacati, movimenti e campagne della società civile, comunità ed enti locali, forze politiche che condividono questa prospettiva e si impegnano a realizzare i cambiamenti proposti. I dieci punti fermi sono qui delineati in modo preliminare; dovranno essere precisati con un lavoro comune.

1. La ricostruzione di un sistema produttivo di qualità con un nuovo intervento pubblico

L’emergenza ci ha fatto pensare alle attività “essenziali” e a quelle di cui si può fare a meno. I beni alimentari, le produzioni sanitarie e i servizi pubblici da un lato; le grandi navi al centro del contagio, la produzione di armi, il calcio in tv tutte le sere dall’altro. È una riflessione da cui partire nel progettare la ricostruzione dell’economia del paese. Non può essere “il mercato” – com’è stato in passato – a stabilire che cosa produrre sulla base dei profitti ottenibili. Il che cosa e come produrre deve emergere da una visione del bene comune, da scelte sociali e politiche che definiscano un modello di sviluppo di qualità, con attività ad alto contenuto di conoscenza e tecnologia, alta qualità del lavoro, e piena sostenibilità ambientale. Dopo vent’anni di recessione e ristagno dell’economia italiana, un nuovo sviluppo ha bisogno del ritorno all’“economia mista” del dopoguerra, con un forte intervento pubblico nella produzione, nelle tecnologie, nell’organizzazione dei mercati, orientando in modo preciso le scelte delle imprese attraverso le politiche della ricerca, industriali, del lavoro, ambientali.

L’azione pubblica nell’economia deve appoggiarsi su una pubblica amministrazione rinnovata, efficace, capace di operare per l’interesse pubblico. Occorre riordinare la presenza dello Stato nelle grandi imprese italiane in un gruppo industriale pubblico. Serve una Banca pubblica d’investimento che rinnovi e estenda la Cassa Depositi e Prestiti. Serve una rinnovata azione pubblica che ridimensioni, controlli e regoli la finanza privata. Serve una radicale trasformazione del ruolo del CIPE. Serve un’Agenzia nazionale per l’industria e il lavoro che intervenga per far ripartire le imprese messe in ginocchio dalla crisi e ne rilanci le produzioni. Serve un’Agenzia per la ricerca e sviluppo, l’innovazione, gli investimenti in nuove tecnologie. Serve un’Agenzia pubblica che indirizzi le produzioni legate al sistema sanitario del paese. Serve un soggetto economico pubblico che guidi la transizione verso la sostenibilità ambientale. Nuove imprese possono nascere con capitali privati e partecipazioni pubbliche iniziali. La domanda pubblica può essere utilizzata per stimolare innovazioni e investimenti.

Dalla politica di questi anni fondata sul sostegno indiscriminato alle imprese, attraverso facilitazioni e incentivi fiscali, bisogna passare al sostegno selettivo e mirato di produzioni e attività economiche strategiche e utili al paese: infrastrutture materiali e sociali, attività ad alta intensità di conoscenza, innovazione e lavoro qualificato. Al posto delle politiche “orizzontali” che lasciavano fare al mercato, l’impegno pubblico per la ricostruzione dell’economia potrebbe concentrarsi in tre aree: la sostenibilità ambientale, le attività per la salute e il welfare, le tecnologie digitali. I primi due ambiti sono discussi nei punti successivi. Le tecnologie digitali hanno applicazioni in tutta l’economia: il web, l’informatica, il software, le comunicazioni, le apparecchiature elettroniche, i servizi digitali pubblici e privati. Qui l’Italia ha perso grandi capacità produttive e si è abituata a importare quasi tutto dall’estero; si devono ricostruire le competenze necessarie per uno sviluppo di qualità e occorre garantire a tutti gli italiani un servizio universale di banda larga minima.

All’opposto, ci sono produzioni da ridimensionare e riconvertire, utilizzando gli stessi strumenti di politica industriale: innanzi tutto l’industria delle armi, che non producono sicurezza, ma nuovi conflitti, poi le produzioni ambientalmente insostenibili (punto 2) e le attività e i servizi di più bassa qualità sociale.

Ci sono grandi imprese in difficoltà da anni – come Ilva e Alitalia – per cui è essenziale un intervento diretto dello stato per realizzare le necessarie riconversioni e mantenere le attività economiche. L’estensione del “golden power” del governo a diversi settori produttivi essenziali per l’economia italiana è un passo significativo per proteggere l’industria nazionale di fronte ai rischi di acquisti da parte di imprese straniere. Occorre però una programmazione più ampia con le imprese; vanno sviluppati accordi di lungo periodo con gruppi di imprese italiane e con le multinazionali che producono in Italia, offrendo i benefici di queste politiche e della domanda pubblica in cambio di piani precisi di produzione, garanzie contro la delocalizzazione all’estero delle produzioni, mantenimento della sede nel nostro paese e pagamento delle tasse in Italia, reinvestimento dei profitti, ricerca, occupazione qualificata.

Per favorire il miglioramento tecnologico delle produzioni italiane è necessario un massiccio investimento nella scuola, nella ricerca pubblica e nell’università, ritornando ai livelli di spesa e personale di dieci anni fa e favorendo il ritorno dei ricercatori italiani emigrati all’estero. Nella pubblica amministrazione e nelle imprese occorre aumentare le competenze e le capacità innovative, spingendo le aziende sulla via della ricerca e delle nuove tecnologie.

Nel ricostruire la base produttiva del paese è essenziale rovesciare la divergenza tra poche aree dinamiche – in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte –, un Centro-nord che ristagna o declina e un Mezzogiorno abbandonato a se stesso. La riduzione dei divari, nelle capacità produttive prima ancora che nei redditi, tra le regioni italiane dev’essere un obiettivo prioritario della nuova politica industriale.

L’eliminazione dei divari tra i territori del nostro paese è lo strumento più efficace per combattere mafie e criminalità organizzata. È inoltre necessaria la tracciabilità ai fini antimafia dei pagamenti legati ai fondi pubblici per l’emergenza.

Un ritorno all’intervento pubblico non è privo di difficoltà e rischi. Serve una nuova generazione di politiche che evitino di cadere negli errori passati: la collusione tra potere economico e politico, la corruzione e il clientelismo, la mancanza di trasparenza e di controllo democratico. Servono una politica e una pubblica amministrazione con alte competenze, capacità di organizzare le risorse del paese e dare risposte ai bisogni. Per cominciare, è necessario ripristinare regole sul meccanismo delle “porte girevoli”, e rompere così la pratica del passaggio continuo di manager e banchieri a responsabilità pubbliche e di politici a responsabilità aziendali, una fonte di collusione e corruzione; passaggi di questo tipo possono essere possibili solo dopo almeno cinque anni di interruzione degli incarichi precedenti.

Per assicurare la coerenza delle politiche realizzate è necessario prevedere meccanismi di valutazione – trasparenti e partecipativi – degli impatti a breve e lungo termine degli strumenti messi in campo.

Accanto all’esigenza di un nuovo modello di crescita economica, c’è bisogno di cambiare il metro di misura che abbiamo. Vanno sviluppate misure efficaci del benessere e della sostenibilità, a partire dal BES (il Benessere Equo e Sostenibile documentato dall’Istat) per poter valutare i progressi del paese verso un nuovo sviluppo.

2. Un’economia sostenibile sul piano ambientale

L’economia del dopo-emergenza dovrà essere basata su prodotti, servizi, processi e modelli organizzativi capaci di utilizzare meno energia, risorse naturali e territorio e di avere effetti minori sugli ecosistemi e sul clima. Il blocco della produzione legata alla pandemia ha portato a ridurre le emissioni di CO2; la ripresa dell’economia deve mantenere le emissioni sotto le soglie necessarie per evitare il cambiamento climatico.

La prospettiva del Green New Deal, aperta anche dalla Commissione europea, deve diventare un aspetto chiave delle politiche di cambiamento, con una visione d’insieme e grandi risorse. Occorrono però obiettivi precisi e misure concrete. Per l’energia si può fissare l’obiettivo del 100% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili entro il 2050 e prendere misure che aumentino radicalmente l’efficienza energetica di abitazioni, uffici, motori, elettrodomestici, eccetera.

Per le auto, si può fissare l’obiettivo di eliminare la produzione di motori a combustione interna entro il 2030. Per i trasporti delle persone si deve passare dal modello dell’auto privata individuale alla mobilità integrata sostenibile, sviluppando forme alternative di mobilità, il trasporto pubblico locale e i servizi ferroviari sulla media e corta distanza, dove si concentra l’80% dell’utenza. Per il trasporto merci si devono ridimensionare le reti della logistica e scoraggiare il trasporto merci di lunga distanza su gomma. Entrambi i progetti richiedono grandi programmi di investimenti pubblici, centrati sulle “piccole opere”.

Occorre ridimensionare le posizioni di rendita, in particolare dei monopoli che controllano le reti elettriche e energetiche, che rappresentano un ostacolo alla conversione energetica. Bisogna puntare sull’agricoltura biologica – con produzioni sostenibili e di piccola scala – sulla chimica verde, su una cantieristica che sviluppi il trasporto merci via mare al posto del turismo su enormi navi da crociera che hanno un gravissimo impatto ambientale. L’intero ciclo di vita delle merci va riorganizzato sulla base dell’“economia circolare”, avvicinandosi all’obiettivo di “rifiuti zero”, favorendo il recupero e riuso dei materiali, moltiplicando gli impianti di riciclaggio al posto di inceneritori e discariche.

Gli interventi in tutti questi ambiti potrebbero essere coordinati da un’Agenzia per la sostenibilità, un soggetto economico pubblico che dia coerenza a strategie e investimenti, promuova la ricerca e l’innovazione ambientale, organizzi la domanda pubblica, orienti l’azione delle imprese private, facendo delle produzioni sostenibili un punto di forza dell’economia del paese.

Occorre un’eliminazione progressiva dei quasi 20 miliardi di sussidi pubblici che vanno ogni anno ad attività che danneggiano l’ambiente, in particolare i combustibili fossili. A parità di imposizione fiscale complessiva, occorre spostare il carico fiscale verso un ampio uso di tasse ambientali; in questo modo si possono “correggere” i prezzi dei beni e spingere produttori e consumatori a comportamenti più sostenibili. Il principio di sostenibilità deve diventare un criterio pervasivo in tutte le scelte individuali e collettive.
[segue]

Coronavirus. La fase due

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34c04bd0-4e42-4eb8-9d59-b448fc930150di Gianni Pisanu

Siamo a metà aprile e non si sente altro che parlare del dopo 3 maggio, indicando nel 4 maggio il primo giorno della fantomatica fase due. Parlarne (dopo aver pensato) sarebbe anche giusto e comprensibile, magari distinguendo nettamente gli ambiti. Ovviamente il primo è la salute dei cittadini. Ma ci sono tante altre decisioni che passo passo dovranno essere prese per affrontare la difficile situazione.
Ovviamente la salute. Alla domanda di un popolare conduttore televisivo che le chiedeva di indicare la data d’inizio della fase due, una scienziata in collegamento dagli Stati Uniti rispondeva: la fase due potrà iniziare anche domattina, se in Italia, in qualsiasi località qualsiasi persona (anche io che rientrando in Italia mi dovessi trovare nella condizione di infettata) potesse contare sulla disponibilità di posti in strutture ospedaliere Covid-19 (terapia sub-intensiva, terapia intensiva, rianimazione) che siano in grado di far fronte alle esigenze di cura, tenendo conto della perdurante circolazione del virus e dell’eventualità tutt’altro che remota di improvvise impennate di contagi.
Purtroppo dalle notizie che vengono diffuse dai mezzi di comunicazione è difficile farsi un’idea precisa di come viene affrontata la pandemia in Italia, meno ancora in Sardegna. Come mai la mortalità in Italia è almeno quintupla rispetto alla Germania? Terapia intensiva in Italia: 6000 posti, portati a circa 9000 nell’emergenza. In Germania partono con 28.000 posti. Come mai? [segue]

Coronavirus. Mobilitiamoci, fin che siamo in tempo, per evitare la catastrofe nella città metropolitana

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OGNI GIORNO É PREZIOSO
di Gianni Pisanu
L’emergenza Virus non ha risparmiato la nostra isola. Mentre sulla base degli ultimi dati alcuni studi hanno seppure con prudenza formulato previsioni di “spegnimento” per la maggior parte delle regioni, per la Sardegna non si sbilanciano. Con le Marche e la Basilicata infatti la Sardegna è in una situazione di imprevedibilità sulla base del susseguirsi dei dati.
Le esperienze finora maturate e richiamate negli ultimi giorni da numerosi scienziati fra i quali il Prof. Galli dell’ospedale Sacco di Milano, indicano come strada maestra oltre alla scrupolosa osservanza delle norme che limitano drasticamente i contatti interpersonali, l’isolamento delle persone infettate che oggi sono lasciati nelle loro abitazioni spesso del tutto inadeguate dove oltre a non potersi curare in modo accettabile, costituiscono un grave rischio di contagio per parenti e conviventi.
Il rischio di contagio per i familiari delle persone positive cosiddette isolate è calcolato fra dieci e cento volte superiore alla media. Facile in questo modo lo svilupparsi di sempre nuovi focolai. [segue]

Coronavirus. Preparamoci anche in Sardegna la fase del “contenimento”

04d1aebf-cb70-4482-89e9-e4cfd2da8b78DOMANI… NON E’ UN ALTRO GIORNO
di Gianni Pisanu.

Con l’intento di stimolare tutti a contribuire col massimo impegno a fronteggiare la tragica emergenza VIRUS, mi preoccupo di richiamare l’attenzione sulle esperienze fin qui a nostra disposizione maturate prima nel Centro Nord Italia e che ora riguardano la nostra Isola. [segue]