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Cagliari capitale europea della cultura per il 2019? Possibile, ma molta la strada da fare. Il primo ostacolo è la mancanza di coesione delle istituzioni pubbliche!

di Franco Meloni

“L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente“, sosteneva il barone Pierre de Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne. Ovviamente meglio sarebbe vincere, ma questo non  è sempre possibile. Questo spirito vincente deve comunque animare la partecipazione della città (che in questo caso si può dire rappresenti tutta la Sardegna) alla competizione per la scelta della capitale europea della cultura 2019, promossa dal sindaco Massimo Zedda. dall’assessore alla Cultura Enrica Puggioni e appoggiata dal neo presidente della Fondazione Banco Sardegna Antonello Cabras.  Per rendere possibile che la candidatura di Cagliari abbia successo occorre adeguare la città (e non solo) rispetto a una serie di parametri che  esprimono il valore della sua capacità culturale, sia in ragione delle infrastrutture possedute, sia in ragione delle iniziative di tutti i tipi che comunque possano richiamarsi al concetto di cultura. Partendo dalla ricognizione della situazione della città e dello stato dell’arte della sua capacità culturale, occorre mettere in chiaro quanto ancora c’è da fare per raggiungere standard accettabili rispetto a quanto richiesto dai regolamenti del concorso europeo.

Renato Soru parlamentare europeo della Sardegna

di Franco Meloni
Con una certa ingenuità, parlando con degli amici che la sanno lunga di politica e particolarmente di tattiche politiche, avevo avanzato l’ipotesi di candidatura di Renato Soru a rappresentante sardo nel Parlamento Europeo (facendone anche oggetto di un intervento su questa news, che qui sostanzialmente ripropongo). L’idea aveva riscosso tiepida accoglienza da parte dei miei interlocutori, i quali, in prevalenza, l’avevano considerata una trovata elegante per “giubilare” Soru, togliendolo di mezzo rispetto a ben altri più importanti incarichi pubblici, tra i quali la presidenza della regione. Così non era (e non è), almeno nelle mie intenzioni. Oggi, avendo lo stesso Soru escluso la sua partecipazione alle primarie del centro sinistra per la candidatura a detto incarico, mi permetto di insistere sulla proposta. Il mio intento è anche quello di utilizzare la candidatura europea di Soru per rompere il silenzio sull’Europa e contrastarne la persistente sottovalutazione, specie in relazione alle implicazioni delle politiche europee per la Sardegna. Personalmente, in sintonia con tanti altri, credo che la Sardegna si salvi solo dentro una prospettiva europea, chiaramente di una Europa diversa da quella attuale e che l’Europa sarebbe comunque valorizzata da una forte presenza autonoma della Sardegna. Per questo occorre costruire una coerente politica europeista (in Italia e in Sardegna), a partire dal cambiamento della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani nel parlamento europeo, al fine di superare l’attuale vergognosa esclusione della rappresentanza sarda. Su questa questione è ormai da parecchi anni che registriamo l’impegno di tutte le forze politiche, ma finora senza alcun esito, ultime in ordine di tempo le proposte avanzate da Roberto Cotti (Movimento 5 stelle) e da Roberto Capelli (Centro democratico), che allo stato non ci sembra abbiano avuto particolare attenzione e seguito. Ed è su questa questione che siamo impegnati come Aladinews insieme ad altre testate dell’editoria on line e a esponenti del mondo culturale sardo. Non occorre soffermarsi, ma giova ripetercelo, come le risorse più importanti per risollevare l’economia della Sardegna verranno proprio dai fondi europei (in particolare fondi strutturali della programmazione 2014-2020), che, evidentemente, devono essere spesi e spesi bene, in controtendenza rispetto a quanto finora avvenuto. Abbiamo dunque necessità di una forte, autorevole, presenza della Sardegna a Bruxelles. E l’efficacia di una presenza non è certo solo un fatto formale. E’ questione di persone. Scusatemi qui una digressione riflettendo sul passato: il posto di presidente della Democrazia Cristiana ha sempre contato bel poco sul piano del potere in quel partito e fuori dallo stesso; eppure quando quel ruolo fu coperto da Aldo Moro, venne giustamente considerato come il centro del potere politico italiano, tanto è che le sciagurate Brigate rosse lo assunsero come il cuore del sistema borghese, da abbattere, con tutto quello che seguì all’assassinio dell’uomo politico in quel momento davvero più importante del paese. Ma è un’altra storia. Qui voglio solo dire che Renato Soru rappresenterebbe davvero un riferimento europeo per la Sardegna, ovviamente in un’ipotesi di un nuovo decente governo di centro sinistra della Regione, ma anche considerando il maggior peso politico che dovrebbe assumere il futuro parlamento europeo (esito delle elezioni politiche tedesche permettendo). Almeno così l’ho pensata avanzando la proposta di “Renato Soru parlamentare europeo della Sardegna”, che mi sento di ribadire con la stessa convinzione e determinazione.

Ma quando ci ha dato Obama?

di Franco Meloni

Ho visitato il salone Sinnova2013 e sono stato spettatore dell’evento conclusivo di sabato 13 luglio condotto dal bravo giornalista Riccardo Luna. Molte le cose positive di questa manifestazione, ma qui ne voglio invece segnalare una negativa, che mi preoccupa. Precisamente l’assenza dell’Europa, evocata nella serata finale solo per la scelta sbagliata di aver incentivato l’espianto delle vigne in Sardegna. Ma è solo questa l’Europa? Abbiamo molto da criticare le modalità e i tempi di costruzione dell’Unione europea e non ci piacciono le prospettive che sembrano indicare gli attuali leader europei, per quanto oggi poco si capisce, stante il fatto che tutti attendono gli esiti delle elezioni politiche tedesche di settembre, ma riteniamo sbagliato il silenzio che sembra calato sull’Europa, perfino nelle manifestazioni costruite con il cofinanziamento dei fondi europei. Credo che la gran parte delle start up presenti a Sinnova2013, se non tutte, abbiano beneficiato di finanziamenti europei, appunto nella misura del cofinanziamento dei vari fondi strutturali. Eppure il riferimento in positivo ci è sembrato essere sopratutto l’America, precisamente gli Stati Uniti, che sicuramente costituisce un interessante mercato e un luogo di esemplari esperienze. Ma, per favore, guardiamo anche più vicino a noi, non solo per utilizzare al massimo le opportunità di finanziamenti europei, ma per partecipare alla costruzione di politiche europee più efficaci, per esempio nel campo dell’innovazione, che s’iscrivano in un’Europa migliore che vogliamo contribuire a realizzare.
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La Sardegna e l’Europa si salvano insieme

Si ripropone con urgenza la modifica della legge elettorale per consentire ai sardi di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo

di Franco Meloni

La scadenza delle elezioni politiche tedesche del prossimo settembre è dai più considerata come vero e proprio spartiacque rispetto ai destini dell’unione europea. I nuovi equilibri politici della Germania, attuale stato guida europeo, determineranno in sostanza quale di due opposte strade si dovrà percorrere, basate: la prima sull’ipotesi di un processo di maggiore integrazione politica fino alla costituzione di una nuova entità statuaria (Confederazione, Federazione?); la seconda sulla presa d’atto dell’attuale crisi con la probabile costituzione di almeno due gruppi di paesi selezionati per omogenei gradi di integrazione, che darebbero origine a due “aree euro”. Tutti iscritti entro una labile cornice che di Europa avrebbe soltanto il nome. In questo caso si tornerebbe clamorosamente indietro tutta! Ovviamente questa è una rappresentazione schematica che non da conto di possibili sfumature di scenari, che potranno essere prossimi alla prima piuttosto che alla seconda ipotesi. Gli altri paesi che fanno? Beh, a di là delle dichiarazioni (per rimanere alla Francia e all’Italia: svolta, a parole, verso gli stati uniti d’Europa di Hollande e rituale giuramento europeista di Letta, nonostante Berlusconi) più o meno si aspetta tutti la scadenza tedesca. Nelle ipotesi prospettate io sto sulla prima, nella consapevolezza che tutto potrà accadere. Non c’è certo da stare allegri: sempre meno peraltro ci si può fidare dei governi. Speriamo che infine prevalga la saggezza degli elettori. Cosa anch’essa abbastanza problematica. Ma, fatta questa premessa e soprattutto fatta, nonostante tutto,  la scelta più autenticamente europeista, dobbiamo chiederci dal nostro punto di vista di sardi: che fare, oggi, nella prospettiva di breve, medio e lungo periodo?   Ebbene, per quanto mi riguarda esplicito e propongo una risposta, che spero convincente, nel seguente modo: dobbiamo impegnarci a costruire una Sardegna indipendente e sovrana, radicata nell’appartenenza europea, di un’Europa che evidentemente vogliamo diversa, per missione e contenuti (l’Europa dei popoli) e per gli aspetti istituzionali, attraverso la realizzazione degli “stati uniti d’Europa”, con un modello originale che faccia tesoro delle migliori esperienze storicamente attuate e/o in atto. Quest’Europa e questa Sardegna, nella visione delineata – che richiede studio, negoziazioni, sperimentazioni, correzioni in itinere, etc. e soprattutto partecipazione dei cittadini europei (per quanto ci riguarda sardo-europei) e dunque, appunto per queste ragioni, impegno di lunga lena – vanno costruite da subito. Con questo faro d’orientamento, con questa certezza di prospettiva (di medio e lungo periodo), partiamo pure dal contingente. E il contingente è costituito in primo luogo dalle due scadenze elettorali, quasi contemporanee, quella sarda (elezione del consiglio regionale e del presidente della regione), presumibilmente nel febbraio 2014 e quella europea (elezione del parlamento europeo e, forse, designazione del commissario europeo) sicuramente nel maggio 2014. Dobbiamo nel dibattito per la costruzione dei programmi e per la designazione dei candidati intrecciare fortemente queste due tematiche, che sintetizziamo nello slogan: Sardegna e Europa si salvano insieme. Dico a tutti noi e soprattutto alla sinistra e al mondo indipendentista che non è consentito avere sull’Europa “riserve mentali”, cioè dobbiamo dichiararci ed essere profondamente europeisti (e agire di conseguenza), in questo riallacciandoci al miglior pensiero federalista dei pensatori universali e, tra questi, particolarmente dei pensatori sardi e, se vogliamo come io propongo, riferendoci esplicitamente al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, più che mai attuale nella visione europeista. Voglio rimarcare che proprio nell’attuale situazione di incertezza e di diffusa sfiducia verso la concreta realizzazione dell’unione europea è necessario avere e proporre una prospettiva certa. Considerato che tale situazione di sfiducia non riguarda il concetto di Europa e neppure la necessità di integrazione europea, ma piuttosto la sua deludente realizzazione storica. Mi chiedo infatti, con un esempio riduttivo ma significativo: come potrebbero non essere europeisti i giovani sardi che hanno fatto l’Erasmus, che si sentono cittadini sardi ed europei, che vedono nella virtuosa costruzione dell’Europa il superamento dell’assurdo impasse in cui si è cacciata l’Italia soprattutto (ma non solo) nell’orrendo ventennio berlusconiano. Analoghe considerazioni, mutatis mutandis,  possono essere fatte con riferimento alla crisi dell’autonomismo e all’attuale condizione della Sardegna, che i giovani sardi (e non solo) vogliono diversa. Dobbiamo approfondire. Tuttavia in questo quadro azzardo un pensiero (forse illusorio): possiamo ritrovare un senso del nostro essere sardi ed europei in un rinnovato coerente impegno nella direzione indicata? E, con una buona dose di “ottimismo della volontà”, in certa parte tale impegno può fare da contraltare alle ragioni del “pessimismo della ragione”, spietatamente presenti nel primo intervento di Salvatore Cubeddu? Tornando al contingente, è evidente che in tema di elezioni europee non possiamo non batterci per la modifica dell’attuale legge elettorale (italiana) per l’elezione del parlamento europeo che penalizza la Sardegna, al fine di consentire l’elezione di almeno due parlamentari nell’unico collegio sardo. L’altro aspetto contingente -ma meglio sarebbe dire di breve e medio termine – è la programmazione dei consistenti fondi europei del periodo 2014-2020, che per i meccanismi di spendita si protrarrà al 2023 (proprio la data che indicava Nicolò Migheli come orizzonte temporale per il nostro impegno programmatico). Al riguardo occorre rimuovere l’attuale monopolio decisionale che nella crisi della rappresentanza politica di fatto esercitano burocrati, assessori di turno e altri “addetti ai lavori” per consegnare la competenza a una nuova classe politica (rappresentata in primis dal Consiglio regionale e dai nostri rappresentanti a Bruxelles).  Ad essa spetta coinvolgere i sardi, nella misura maggiore possibile (e a questo fine anche noi siamo impegnati), unendo e finalizzando la materialità dei finanziamenti europei, governativi e di bilancio alle cose da fare su tutte le tematiche note (già elencate da Nicolò): la lingua, i beni culturali, le entrate, l’istruzione, le servitù militari, il sistema carcerario, l’agricoltura, i trasporti, il welfare… Per fare questo non fidiamoci dei partiti, senza peraltro demonizzarne nessuno, ma lavoriamo per creare molte occasioni di dibattito e di tavoli di lavoro, con tutti i mezzi disponibili (quelli tradizionali, fatti di assemblee e incontri, e quelli che ci forniscono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Un po’ come stiamo già facendo, anche con i nostri blog, ma con maggiore spirito unitario e coinvolgimento di persone e organizzazioni e, ancora, con maggiore impegno per fare a scadenze programmate sintesi e rilancio di proposte condivise e  concretamente attuabili, dandoci pertanto per ciascuna delle grandi tematiche obbiettivi chiari e misurabili, entro il quadro di riferimento temporale al 2023. Solo pochi esempi: “Di quanto riteniamo essere in grado di ridurre la dispersione scolastica? Di quanto ci riteniamo capaci di incrementare l’occupazione e ridurre la disoccupazione? Di quanto riteniamo possibile ridurre il gap infrastrutturale tra la Sardegna e le regioni europee più dotate? E così via. Per tutte queste questioni si tratta ovviamente di partire dalla situazione odierna e dallo “stato dell’arte”, tenendo prioritariamente in conto le “emergenze”, quali quelle ben segnalate dall’intervento di Vito Biolchini. Evidentemente anche per contribuire a cambiare impostazioni e ricercare diverse soluzioni, attraverso piani e programmi costruiti con l’ausilio dei migliori esperti e con la più diffusa partecipazione e ricerca del consenso delle popolazioni interessate.

Non vado oltre su queste ed altre questioni, che saranno oggetto di prossimi interventi anche con opportune ricognizioni di dibattiti avviati in altre sedi.

Mi piace invece chiudere con una sintetica considerazione sul problema dei problemi, cioè sulla classe dirigente (non solo politica, ma in tutti i settori e livelli della società): dentro una virtuosa alleanza generazionale, che riconosca il diritto dei giovani di essere protagonisti e decisivi nei posti di comando, occorre individuare e far emergere le persone dotate di idee ed energie nuove (che senz’altro ci sono in Sardegna in tutti i campi e che sono spesso sconosciute, come ben rilevato nell’intervento di Fabrizio Palazzari) per affidare loro i destini della nostra Isola, sostituendo le persone obsolete e inadeguate, perché come sosteneva Albert Einstein: Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha creato il problema!

Franco Meloni

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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.

Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :

aladinews

vitobiolchiniblog

Fondazione Sardinia

Tramas de amistade

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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu

Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari

Il terzo intervento di Nicolò Migheli

Il quarto intervento di Vito Biolchini

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Gli OCCHIALI di PIERO

A TUTTI GLI INTERESSATI
Mi assento fino a venerdì. Venerdì alle 18 potremmo vederci al Municipio di Oristano
per Sa Die de sa Sardigna. Sarò là con Salvatore Cubeddu. Racconterò del 28 aprile 1794. Sabato 27 dalle ore 10 a Cagliari Palazzo viceregio festeggeremo Sa Die ponendoci le 5 domande, quelle del 1794 e quelle di oggi. Per maggiori informazioni vedete nei siti della Fondazione Sardinia, di Vito Biolchini e di Aladinews (Aladinpensiero).
Siate felici intanto, io lo sarò.
Piero Marcialis

L’evento su fb: iscrivetevi!

Facciamolo!

COME VANNO LE COSE
Le cose vanno all’incirca così. In un primo tempo, il “genio”, sbarazzatosi del filo con cui un tempo la ragione lo guidava, si compiace molto dell’audacia dei propri slanci. Presto anche altri sono incantati dalla perentorietà delle sue affermazioni e dalle sue grandi aspettative, ed egli sembra essersi ormai assiso su un trono che la ragione grave e pedante male adornava, pur continuando a servirsi del suo linguaggio.
Noi, comuni mortali, chiamiamo ESALTAZIONE la massima qui assunta della nullità della ragione supremamente legislatrice, mentre quei favoriti della natura benevola la chiamano “illuminazione”.
(Immanuel Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, 1786).
Mai, dal dopoguerra a oggi, il Parlamento italiano è stato così profondamente rinnovato dal voto popolare. Per la prima volta i giovani e le donne sono parte cospicua delle due Camere. Per la prima volta ci sono i numeri per dare corpo a un cambiamento sempre invocato, mai realizzato. Sarebbe grave e triste che questa occasione venisse tradita, soprattutto in presenza di una crisi economica e sociale gravissima.

Noi chiediamo, nel nome della volontà popolare sortita dal voto del 24-25 febbraio, che questa speranza di cambiamento non venga travolta da interessi di partito, calcoli di vertice, chiusure settarie, diffidenze, personalismi. Lo chiediamo gentilmente, ma ad alta voce, senza avere alcun titolo istituzionale o politico per farlo, ma nella coscienza di interpretare il pensiero e le aspettative di una maggioranza vera, reale di italiani. Questa maggioranza, fatta di cittadine e cittadini elettori che vogliono voltare pagina dopo vent’anni di scandali, di malapolitica, di sperperi, di prepotenze, di illegalità, di discredito dell’Italia nel mondo, chiede ai suoi rappresentanti eletti in Parlamento, ai loro leader e ai loro portavoce, di impegnarsi fino allo stremo per riuscire a dare una fisionomia politica, dunque un governo di alto profilo, alle speranze di cambiamento.

Michele Serra,
Roberto Benigni,
don Luigi Ciotti,
Oscar Farinetti,
don Andrea Gallo,
Lorenzo Jovanotti,
Carlo Petrini,
Roberto Saviano,
Salvatore Settis,
Barbara Spinelli,
Fabio Fazio,
Gino Paoli

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Altro che Pd meno elle! Sono Beppe Grillo e il M5S i più grandi alleati di Silvio Berlusconi!
by vitobiolchini

Berlusconi dunque è tornato in piazza. Con i suoi inni, con i suoi figuranti, con i suoi soliti toni eversivi. È tornato in piazza per attaccare la magistratura, i “comunisti”, i giornalisti, le istituzioni democratiche: per attaccare tutto e tutti. Berlusconi ha riproposto per l’ennesima volta il suo solito schema. Giusto per non farci dimenticare, in questa nuova stagione politica che si è appena aperta, in che modo è stato creato e mantenuto il consenso dal 1994 ad oggi.
Berlusconi è tornato in piazza perché teme di essere estromesso dalla scena politica per effetto di tre dinamiche che stanno arrivando a compimento praticamente contemporaneamente.
La prima dinamica è quella giudiziaria: alcuni dei numerosi processi cui è sottoposto stanno per concludersi, e Berlusconi rischia l’estromissione dai pubblici uffici. La manifestazione di ieri puntava soprattutto a mettere sotto pressione la magistratura.
La seconda è quella istituzionale: nel caso dell’elezione al Quirinale di un esponente del centrosinistra, Berlusconi sarebbe isolato, senza una sponda futura su cui contare per il suo partito.
La terza dinamica è strettamente politica, e attiene al tentativo di Pierluigi Bersani di formare un nuovo governo. Berlusconi sa bene che il presidente del Consiglio in pectore per ottenere la fiducia al Senato dovrà in qualche modo attingere anche dallo schieramento di centrodestra, in maniera ovviamente più o meno dichiarata. Il leader del Pd spera che qualche assenza strategica faccia abbassare il quorum, dopodiché ci penserebbero i voti in libera uscita dai tre schieramenti all’opposizione (Monti, Pdl e M5S) a consentire la nascita del nuovo governo. Un sentiero effettivamente stretto e impervio.
Perché se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, Berlusconi potrebbe a buon diritto dimostrare che il primo governo Bersani non può fare a meno del sostegno del centrodestra. Sarebbe “l’abbraccio mortale” tanto auspicato da Beppe Grillo.
Di fatto dunque ci sono tre scenari possibili, e due di questi sono entrambi graditi a Grillo e Berlusconi.
Il primo è che, con tutti gli accorgimenti che abbiamo visto prima (e cioè rosicchiando voti a Monti, al Pdl e al M5S), Bersani riesca ad ottenere la fiducia al Senato.
Il secondo è che Bersani ottenga la fiducia al Senato attingendo soprattutto dai voti del Pdl, e in questo caso sarebbe ostaggio di Berlusconi e vittima degli attacchi di Grillo.
Il terzo scenario è che Bersani fallisca in maniera clamorosa e a quel punto nuove elezioni sarebbero inevitabili. Una ipotesi, anche questa, gradita sia a Grillo che a Berlusconi.
Esiste ovviamente un altro scenario, il primo che era stato prospettato dal centrosinistra: un’alleanza tra il Pd e il M5S in grado di estromettere definitivamente dalla scena democratica e istituzionale del paese Silvio Berlusconi.
Perché mai negli ultimi vent’anni le forze contrarie al Pdl e a Berlusconi erano presenti in parlamento in maniera così preponderante.
Siamo dunque di fronte ad una occasione unica e forse irripetibile, un’occasione storica: possiamo liberarci di Berlusconi. Liberarci di lui definitivamente, senza dover lasciare questo compito alla magistratura. Liberarci di lui in parlamento e in parlamento votare le leggi sul conflitto di interessi, sul falso in bilancio, contro la corruzione, contro la mafia.
Tutto questo si potrebbe fare solo se Beppe Grillo lo volesse. Ma Grillo evidentemente non lo vuole. Grillo non parla della manifestazione di ieri di Berlusconi, Grillo non sente la responsabilità storica di essere colui che può estromettere definitivamente dalla scena politica il Cavaliere di Arcore. Perché Grillo pensa che Pd e Pdl siano la stessa cosa, e su questa stupidaggine si fonda tutto il suo pensiero “alternativo”.
Per questo Berlusconi sopravviverà anche a questo passaggio (il più pericoloso per lui in questi anni) e il merito sarà solamente di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle. Di fatto, al di la di mille parole, i più grandi alleati di Silvio Berlusconi.

Post scriptum
E infatti della manifestazione di ieri in piazza di Berlusconi, Beppe Grillo e il M5S non hanno niente da dire.
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PER ADERIRE ALL’APPELLO

Bene il convegno in occasione della presentazione del libro “Tech and the City”

Convegno molto interessante. Grazie mille agli organizzatori. Torneremo presto sui contenuti dell’evento, non solo per dare conto degli interventi, ma anche per dare un nostro apporto con precise proposte operative per come muoversi. Per ora solo una critica, o meglio una riflessione: va bene che l’occasione era data da un libro sull’esperienza delle start up a New York, ma si sarebbe dovuto dare un po’ di spazio anche all’Europa, a ciò che in fatto di start up e dintorni si muove in Europa. L’Unione Europea si sta muovendo bene in fatto di innovazione e creazione di impresa innovativa. I soldi che mettono a disposizione Regione ed Enti locali per le azioni positive (l’iniziativa de minimis del Comune di Cagliari, nonchè i tanti programmi regionali finanziati con il Fondo Sociale Europeo, come promuovidea, impresa donne, prima, maciste, etc. fino ai programmi gestiti da Sardegna Ricerche con i fondi FESR…), le quali in gran parte premiano le nuove imprese innovative o la promozione dell’innovazione nelle imprese comunque esistenti vengono proprio da lì. Certo è necessario collaborazione e sinergia tra i diversi Enti. I quali devono coordinarsi. Dal dibattito è emerso che l’informazione è scarsa. Vanno bene le iniziative dei privati (per es.l’open Campus di Tiscali presentato da Renato Soru), ma occorre che gli Enti pubblici (in primis Regione, Comune e Camera di Commercio di Cagliari) si decidano a mettere su un apposito Centro di informazione per la creazione d’impresa, affidato ai migliori professionisti che sanno di queste questioni e che possano dare una mano davvero ai giovani. Aladinews al riguardo sta conducendo, con le sue modeste risorse, una campagna perchè vengano aiutati i neo e aspiranti giovani imprendiori. Per Cagliari e sua area vasta l’obbiettivo unificante è racchiuso nello slogan “Cagliari Territorio Intelligente”, anche in previsione del bando ministeriale (promesso entro breve termine dal ministro del Ministero dello Sviluppo Corrado Passera) che dovrebbe promuovere i più attivi e performanti territori dell’innovazione!

Foto di Xmen, tratte dal servizio fotografico sull’evento.

Cagliari e sua area vasta candidata “Territorio Intelligente”

Importante occasione di dibattito attraverso la presentazione di un libro di Maria Teresa Cometto e Alessandro Piol

Sabato 16 marzo a Cagliari al MEM Mediateca del Mediterraneo ( Via Mameli 164) alle  ore 16.30 verrà presentato il libro “TECH AND THE CITY” di Guerini e Associati, scritto da Maria Teresa Cometto, giornalista con oltre 25 anni di esperienza che dal 2000 vive a New York scrivendo di economia e high-tech per il Corriere della Sera, e Alessandro Piol, venture capitalist nella Grande Mela con oltre 30 anni di esperienza nel settore tecnologico.

L’Europa non attende…

di Pietro Tandeddu,  da Sardegnademocratica

Vale la pena tornare su un argomento trattato recentemente su questo sito da Franco Meloni; mi riferisco alle nuove politiche comunitarie per il periodo 2014-2020. Voglio in primo luogo rilevare che, a mio giudizio, manca, o è per lo meno carente, la consapevolezza dell’importanza che questi fondi hanno, e sempre più avranno, per lo sviluppo economico e sociale della Sardegna a fronte della carenza di risorse nazionali conseguente alla crisi economica e finanziaria che investe, sia pure in termini diversi, gli Stati europei e, in modo pungente l’Italia, nonchè davanti ad un bilancio regionale che si caratterizza ormai come mero bilancio di spesa corrente. Dal bilancio 2013, non ancora presentato, purtroppo, vi è solo da aspettarsi un’ulteriore contrazione delle risorse rivolte alle imprese e alla crescita in generale.

Da tempo la Commissione Europea ha presentato agli altri organi dell’Unione ( Parlamento e Consiglio) le nuove proposte legislative recanti disposizione concernenti il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale ( FERS) , il Fondo Sociale Europeo ( FSE), il regime dei pagamenti diretti in agricoltura, l’OCM unica e lo sviluppo rurale , da finanziarsi attraverso il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale ( FEARS), ed infine il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca ( FEAMP ).

Presso gli organi comunitari e negli Stati membri il dibattito ed il confronto sono aperti da mesi; in Sardegna languono. I due assessori, responsabili del FERS e del FSE si sono auto sospesi dalle loro funzioni perché candidati al Parlamento nazionale. Riguardo agli atti sinora prodotti dalla Giunta, si conoscono due deliberazioni; l’una che istituisce una cabina di regia tecnica interna all’amministrazione e l’altra che da mandato al Centro Regionale di Programmazione di avviare il confronto con il partenariato economico e sociale per la predisposizione del Programma Operativo. Il tutto senza l’approvazione di un atto di indirizzo che indichi, nell’ambito dei vincoli posti dalle proposte comunitarie, le scelte strategiche e le priorità, come frutto di una revisione dei documenti programmatici regionali a suo tempo predisposti, che si rende necessaria a seguito delle profonde criticità insorte nel panorama economico isolano come il crollo dell’industria dimostra o come testimoniano le difficoltà che attraversano tutti gli altri comparti produttivi, dall’agricoltura all’edilizia, dall’artigianato al commercio .

Senza nulla togliere al Centro di Programmazione e ai dirigenti delle varie branche dell’Amministrazione impegnati con diligenza e responsabilità, va comunque rimarcato che non è giustificabile l’assenza del decisore politico nella costruzione degli atti di programmazione.

Vi è da capire, per esempio, quali sono le motivazioni che sono alla base della decisione, sembrerebbe, di predisporre, come nella precedente fase di programmazione, due Programmi distinti e non un Programma unico plurifondo come parrebbe indicare sia il Consiglio Europeo che, nel documento approvato a conclusione dell’incontro del 7 e 8 febbraio sul quadro finanziario, scrive: “I fondi strutturali e il Fondo di coesione saranno riuniti, insieme al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), in un quadro strategico comune (QSC), al fine di massimizzarne l’efficacia e ottimizzarne le sinergie” , sia il documento del ministro Barca del 27 dicembre dello scorso anno che apre il confronto pubblico sui metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020 dove si legge:” i programmi operativi dovranno essere di norma plurifondo (nel caso praticabile per il 2014- 2020: FESR e FSE).” Lo stesso Barca evidenzia l’opportunità poi che i fondi comunitari debbano trovare uno stretto coordinamento con il Fondo di coesione nazionale nel rispetto di quella più che condivisibile logica che in Sardegna è stata battezzata “ciclo unico di programmazione”.

Con riguardo al tema dell’insularità che tutti convengono debba trovare un riconoscimento concreto da parte dell’Unione, ai fini del superamento delle diseconomie che essa crea, non trova il giusto rilievo nelle recenti decisioni comunitarie. Il presidente Cappellacci ha recentemente comunicato che il Consiglio europeo ha stabilito un aiuto specifico per le isole. Ci chiarisca però perché nel già citato documento del Consiglio del 7 e 8 febbraio , mentre è chiaramente stabilito che:” le regioni ultraperiferiche e le regioni settentrionali a bassa densità di popolazione di livello NUTS 2 beneficeranno di una dotazione supplementare speciale con un’intensità dell’aiuto di 30 EUR per abitante e per anno…” poco più avanti, relativamente alle isole, è genericamente detto che:” occorre tenere conto anche della situazione particolare delle regioni insulari “. Non si specifica di quali isole si tratta, qual’è la riserva finanziaria destinata e le modalità di intervento.

Se, come temo, l’Europa non interverrà in tale direzione, va da se che del problema deve farsi carico il governo nazionale, opportunamente e tempestivamente investito del problema , mediante un più alto tasso di cofinanziamento dei fondi. E’ bene ricordare che in questo modo, nella passata legislatura regionale fu possibile ottenere per il Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 più risorse della precedente fase di programmazione nonostante l’uscita della Sardegna dall’ Obiettivo 1.

Tornando al documento Barca, che , per quanto mi riguarda, è largamente condivisibile, si evidenziano tre opzioni strategiche: Mezzogiorno, Città e Aree interne. Nella bozza di programma predisposto dal Centro di Programmazione, che viene comunque presentato come documento aperto, si nota uno squilibrio tra l’attenzione riservata alle città e quella riservata alle aree interne, le cui problematiche sono facce della stessa medaglia.

Si corre il rischio, non assegnando ad entrambe, diciamo, pari dignità, di intervenire sugli effetti negativi generati da una costante crescita demografica delle aree costiere ove aumenta paurosamente il fabbisogno di servizi di mobilità, abitativi, socio assistenziali e sanitari, ecc. e di non affrontare la causa reale del fenomeno dovuta ad un costante spopolamento delle campagne e delle zone interne.

L’azione di riequilibrio non può essere affidata esclusivamente al fondo agricolo per lo sviluppo rurale ( FEARS ); il FERS e FSE, così come le risorse statali, devono concorrere in modo significativo a contrastare l’abbandono con il ripristino di una buona qualità della vita nelle aree interne che si esprime con un’adeguata rete infrastrutturale ( ove sono comprese anche le strade rurali e una giusta dotazione di energia) , ma anche la permanenza dei servizi postali, di quelli bancari, la sicurezza per i cittadini, la valorizzazione di tutte le risorse locali unita alla tutela del paesaggio, la banda larga, la difesa dei servizi sanitari e lo sviluppo di quelli assistenziali. Si pensi al concorso che potrebbero dare i produttori agricoli nella realizzazione di un piano straordinario di manutenzione e di riassetto idrogeologico del territorio, o nella creazione di servizi sociali come gli agri-asili o quelli rivolti al reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Verrebbe ad espandersi o concretizzarsi quella multifunzionalità dell’azienda agricola ,da molti auspicata, che può determinare la convenienza, anche per i giovani, a permanere in quei territori.

Il documento regionale accenna al tema degli strumenti di sviluppo locale o integrato, ma il riferimento è ai Progetti di Filiera e Sviluppo Locale ( PFSL) nelle aree di crisi o all’esperienza Leader. Sui primi la gestione è stata fortemente centralistica e poco partecipata e anche poco integrata.

Val la pena, facendo tesoro delle esperienze passate, cioè senza buttare l’acqua sporca con il bambino, di abbandonare i diversi strumenti di programmazione negoziata, territoriale e integrata di livello nazionale o regionale sperimentati in questi ultimi anni e di individuare , in primo luogo , una modalità di intervento territoriale che garantisca una reale integrazione tra risorse, soggetti istituzionali, imprese e non esprima invece una sommatoria di progetti non legati tra loro,che consenta la partecipazione effettiva delle istituzioni locali e del mondo dell’economia, che individui un chiaro soggetto coordinatore cui destinare, a seguito dell’ approvazione di un accordo di programma o protocollo d’intesa, risorse certe, preventivamente riservate e provenienti dalle diverse fonti finanziarie.

In secondo luogo, secondo modalità simili, va ripresa con maggiore convinzione rispetto al passato la logica dei Progetti Integrati di Filiera per i diversi settori produttivi. Per il settore agricolo vale la previsione dei PIF all’interno del PSR, colpevolmente boicottati ,che hanno invece trovato piena e convinta attuazione in molte altre regioni italiane.

Soffermandoci ora più specificatamente sulla nuova politica agricola comunitaria (PAC), l’assessore Cherchi non si è auto sospeso, come gli altri due colleghi, dalle sue prerogative, ma è come se lo abbia fatto. Le proposte legislative della Commissione Europea sulla nuova PAC sono dell’ottobre 2011, molte Regioni si sono attivate verso la difesa dei propri interessi, il Parlamento europeo ha esaminato migliaia di emendamenti ( 7-8 mila ). Dove e in che modo la nostra Regione abbia manifestato i suoi orientamenti, ricercato le alleanze necessarie per far valere le proprie ragioni, non è dato sapere. Nessun confronto è stato attivato con le forze agricole, nessun tavolo tecnico istituito, per quanto è a mia conoscenza.

Mi domando, e questo non vale solo per il settore agricolo, che fine ha fatto la legge regionale n. 13 del 2010 che si propone, tra l’altro, la partecipazione della Regione alla formazione degli atti dell’Unione Europea, di rafforzare il sistema delle relazioni tra le due istituzioni e che prevede che il Consiglio Regionale si riunisca ogni anno in sessione europea. Forse anche questa legge va indicata alla commissione di indagine istituita dal Consiglio per una verifica puntuale dell’attuazione delle leggi regionali.

E’ risaputo che in agricoltura vi sono in ballo interessi contrastanti tra le Regioni. Sui pagamenti diretti, come le organizzazioni agricole regionali vanno da tempo ripetendo, non è indifferente se la distribuzione dei titoli avverrà su scala nazionale o regionale: nel primo caso la Sardegna avrebbe solo vantaggi, nel secondo rimarrebbe penalizzata, probabilmente ferma ai 143,9 €/ ha di oggi. Qui la nostra isola si trova come vaso di coccio a contrastare vasi di ferro ( Lombardia, Veneto, Puglia per citarne alcune, dove il premio medio per ettaro è superiore ai 500 euro ).

Non posso soffermarmi su ogni aspetto di una materia complessa, ma, ai tavoli che contano,vogliamo dire la nostra in merito a cosa si debba intendere per agricoltore attivo che è il soggetto cui destinare il sostegno europeo ? E ancora, quali strategie si vogliono definire in relazione all’aggregazione dell’offerta, alle organizzazioni dei produttori, ai rapporti interni alle filiere ? Come si intende favorire lo sviluppo della filiera corta ?

Forse l’assessore conta su uno slittamento delle decisioni comunitarie , ma questo, secondo alcune fonti informative, potrebbe essere possibile per i pagamenti diretti, che, si dice , potrebbero vedere l’approvazione di un regolamento di transizione , ma non per lo sviluppo rurale. A breve il Parlamento Europeo discuterà il quadro finanziario delle nuove politiche 2014-2020 proposto dal Consiglio, dopo di che, chiusa la successiva fase di negoziazione tra i diversi organi comunitari, saranno emanati i regolamenti definitivi per il FEARS, per il FERS e per il FSE.

L’Europa non aspetta e noi cosa facciamo ? Aspettiamo a protestare a “ babbu mortu “ quando i buoi sono scappati dalla stalla ?

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Riferimenti su Aladinews

L’agricoltura torna la priorità della Sardegna

di Aladin

Che l’agricoltura sia tornata una priorità lo dimostra il successo della manifestazione promossa da Coldiretti Sardegna, che si è tenuta stamane (20 febbraio) presso l’Hotel Mediterraneo a Cagliari. Gli organizzatori non si aspettavano il notevole afflusso di pubblico, tanto è che si è dovuto rimuovere il separatore della sala per allargarla e contenere tutti i partecipanti. Precisamente l’argomento era centrato sulla PAC, la nuova Politica Agricola Comune dell’Unione Europea, relativa alla programmazione dei fondi del settennio 2014-2020. Sono temi complessi che il bravo relatore esperto della direzione nazionale della Coldiretti, Stefano Leporati, ha cercato di porgere nel modo più comprensibile possibile, in parte riuscendovi, in parte rinviando agli ulteriori chiarimenti e approfondimenti. “Per capire tutto e bene ci vorrebbe un master in PAC” – ha commentato nel suo intervento il prof. Giuseppe Pulina, docente dell’Università di Sassari - che al riguardo non si è fatto scappare l’occasione per proporre proprio un maggiore impegno del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari (ma possiamo dire dell’Università della Sardegna), di cui Pulina è direttore, anche con un apposito Master in gestione delle risorse agricole (il titolo è assolutamente provvisorio), magari scegliendo come sede Oristano (per la sua centralità, ma anche perchè già ospita un insediamento universitario pertinente). Pulina ha detto molte cose interessanti, ma qui vogliamo riportarne una in modo particolare: “Dobbiamo portare la conoscenza al Km. zero, nel senso di crearla e approfondirla a diretto contatto con le problematiche e al servizio dei sardi”. Ecco un bel concetto, della serie: “Anche in agricoltura, non chiederti cosa può fare la Sardegna per l’Università, ma, piuttosto, cosa può fare l’Università per la Sardegna”.

La Coldiretti negli autorevoli interventi del neo presidente regionale Battista Cualbu e del direttore Luca Saba, è sembrata portatrice di un rinnovato spirito di collaborazione ( “occorre fare squadra” ) non solo tra le Organizzazioni del settore, ma con la Regione, a cui si chiede anche il riposizionamento delle funzioni e dell’organizzazione delle Agenzie (Laore e Agris), con gli Enti locali (in particolare i Comuni) e con l’Università. Si deve dare vita a un “tavolo permanente” in grado di costruire una forte politica agricola della Regione, che possa sostenere il confronto in sede nazionale (Ministero delle politiche agricole e forestali) e soprattutto europea. In questo quadro si è proposto anche di praticare politiche di alleanze con le regioni italiane più forti, proprio per aumentare il potere contrattuale degli agricoltori sardi nei confronti delle diverse Istituzioni (lo sguardo è ovviamente rivolto soprattutto a Bruxelles), anche perchè non tutte le decisioni risultano ancora prese nelle diverse “stanze dei bottoni”. Non si tratta però solo di politiche di salvaguardia delle risorse comunitarie a favore degli agricoltori sardi, ma di ripensare tutta la politica agricola in relazione a nuovi modelli di sviluppo della Sardegna. Ripensare dunque la politica agricola in stretta connessione con le scelte complessive in campo economico-sociale.

Nel suo intervento Cristiano Erriu, sindaco di Santadi e presidente dell’Associazioni dei Comuni sardi (Anci Sardegna) ha ribadito come solo un rifiorire dell’agricoltura può salvare i paesi sardi dalla desertificazione e dall’abbandono delle giovani generazioni. Nell’aderire al “tavolo permanente” ha proposto che si pratichi una valorizzazione dei prodotti sardi, dando priorità alla qualità piuttosto che alla quantità, portando come felice esempio proprio la “Cantina di Santadi”, che ha diminuito la produzione complessiva, aumentando la qualità e il fatturato. Recentemente un alto funzionario cinese si è recato in visita a Santadi per toccare con mano queste politiche produttive, anche per imitarle. Ovviamente si tratta di vedere caso per caso, ma certo non bisogna farsi irretire da proposte che potrebbero stravolgere l’agricoltura senza portare adeguati benefici. Attenzione all’uso intensivo di terreni agricoli per altri scopi. Erriu ha poi ricordato l’esistenza di fondi europei diversificati, come il FSE e il FESR, che possono essere utilizzati in sinergia con gli interventi per l’agricoltura e ha rimarcato la necessità di intervenire per l’innovazione dei processi e dei prodotti e per la formazione delle persone.
(Aladin)
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allegoria agricoltura
Palazzo Civico di Cagliari: Andrea Valli, allegoria dell’Agricoltura

Sulcis: Barca fa sul serio

Il Ministro Fabrizio Barca e l’Amministratore Delegato di Invitalia, Domenico Arcuri,  presentano “Bandi di idee”, il nuovo metodo per raccogliere proposte per lo sviluppo dei territori.

Roma,  venerdì, 25 gennaio presso la Sala Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, l’Amministratore Delegato di InvitaliaDomenico Arcuri, e il Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Sabina De Luca, hanno incontrato i giornalisti per illustrare l’iniziativa “Bandi di idee”. Si tratta di una metodologia innovativa per raccogliere e selezionare interventi progettuali destinati alla valorizzazione e allo sviluppo di alcune aree significative del Paese, come il Sulcis in Sardegna, Reggio Calabria e Pompei.

Il metodo illustrato alla stampa verrà utilizzato nella nuova Programmazione dei fondi comunitari 2014-2020. Nel corso della conferenza, inoltre, è stato presentato il nuovo sito internet “99 ideas. Call for Italy”.

Tutta la documentazione sul sito del Ministro.

La notizia sui due quotidiani (cartacei) sardi oggi sabato 26 gennaio.

Università: per non morire di autoreferenzialità

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di Franco Meloni

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.

E’ una frase che mi piace e che a partire da ciascuno di noi deve riguardare tutti per orientare comportamenti virtuosi verso il bene pubblico. Ritengo che si possa riferire in modo pertinente soprattutto a quanti gestiscono la “cosa pubblica”.
Non è allora fuori luogo il fatto che mi sia venuta in mente pensando allo stato attuale delle università nel nostro paese. Cercherò di spiegarlo nel proseguo.
L’università pubblica che per definizione è al servizio del paese e dei cittadini, nonostante la sua funzione essenziale per qualsiasi traguardo di sviluppo sociale ed economico, è sottoposta da molti anni a questa parte a politiche vessatorie, fatte soprattutto di progressive restrizioni delle risorse statali, di aumento smisurato di adempimenti burocratici, di sfiancanti processi di riforma, in gran parte inefficaci.
A perderci in questa situazione non è certo, se non in minima parte, l’accademia, consolidata nei propri privilegi, quanto piuttosto gli studenti e, in conclusione, il paese intero. L’università pubblica, nel suo complesso, sembra destinata ad un inesorabile declino per mano assassina della politica (del governo come del parlamento) e, si badi per inciso, in presenza di un governo mai stato così tanto partecipato da professori, da assomigliare a un “senato accademico”
Ma perchè non si riesce a fermare questo precipitare verso il peggio? Forse i consapevoli quanto responsabili (colpevoli) di quanto accade pensano che le Università virtuose possano risuscitare dalle ceneri delle attuali. Sarebbe follia, ma sembra appunto questa la strada intrapresa. Non avanziamo qui ulteriori considerazioni, rinviando ad autorevoli approfondimenti, come quelli in grande parte condivisibili di Gianfranco Rebora (http://gianfrancorebora.org/category/universita/).
Invece vogliamo soffermarci su un aspetto: quello del modo in cui è percepita l’Università da parte della gran parte delle persone, dei cittadini e dalle altre organizzazioni. Fondamentalmente come un luogo di privilegiati che si occupano sì di scienza, cultura, insegnamento… ma quando e come vogliono, dall’alto delle loro sicurezze e con atteggiamenti di supponenza e separatezza, senza aver alcun obbligo di “resa del conto”, innanzitutto a chi finanzia l’università (in primis le famiglie, poi lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea, etc). Sì, non è vero che sia tutto così deprecabile. Sappiamo, per esempio, quanti professori svolgono con scrupolo e impegno il loro prezioso lavoro e ancor di più quanti giovani nelle università lavorino sodo, i più senza adeguati riconoscimenti monetari e di carriera… Anche qui non mi soffermo, perchè il problema che voglio affrontare è un altro, precisamente questo: perchè nessuno, tranne i diretti interessati, difende l’Università? La risposta, a mio parere, si può ancora una volta trovare sul “peccato di autoreferenzialità” che marchia l’Università e che la rende largamente estranea al resto della società. Non voglio parlare di “parentopoli” o cose di questa natura, che rappresentano comunque perduranti patologie, ma piuttosto del modo normale di atteggiarsi delle università, soprattutto in relazione al modo in cui esse sono rappresentate dai rettori e dai diversi gruppi dirigenti. Del “peccato di autoreferenzialità” si ha certo da tempo consapevolezza, tanto è che perfino negli ambienti accademici si ricercano modalità per superarlo. Le stesse numerose leggi e altri miriadi di provvedimenti cosiddetti di riforma hanno a parole combattuto l’autoreferenzialità, ma possiamo azzardare che sia invece aumentata, tanto da far considerare la stessa come una delle cause più rilevanti del cattivo rapporto università-territorio.
Richiestomi da un’amica ricercatrice universitaria che indaga sull’apertura delle università al territorio così come appare dalla riformulazione degli statuti, in applicazione di quanto previsto dalla legge 30 dicembre 2010 n. 240, ho letto tutti o quasi gli statuti, pubblicati nei siti degli Atenei, tanto da ritenermi legittimato ad esprimere qualche giudizio. La mia lettura ha riguardato fondamentalmente gli aspetti dell’apertura dell’ateneo al territorio, in certa parte rappresentata dalla valorizzazione dei saperi nel loro trasferimento sul territorio e l’apertura al medesimo territorio attraverso la partecipazione alla governance universitaria dei soggetti del territorio. Per il primo aspetto (apertura) devo dire che in tutti gli statuti esaminati emerge l’attenzione verso il territorio di riferimento di ciascun Ateneo. L’impegno particolare verso la regione (istituzione e territorio) risulta in tutti, ma in modo marcato per le università che operano nelle regioni a statuto speciale (tra questi statuti segnalo quello dell’Università di Sassari per i riferimenti alle specificità delle problematiche regionali come la lingua, l’identità la cultura, etc). Maliziosamente potremmo darci ragione di tale enfasi rammentando come i rapporti Università-Regione comportino importanti trasferimenti di risorse dalle casse regionali a quelle universitarie, generalmente regolati da appositi protocolli d’intesa/convenzioni. Tuttavia – e qui parliamo del secondo aspetto (partecipazione alla governance) – il rapporto con il territorio rispetto all’ambito di diretto riferimento o considerato quello di più vaste dimensioni (nazionale, europeo, internazionale) non prevede negli statuti esaminati particolari forme di integrazione a livello gestionale, salvo alcuni statuti, ad esempio delle università dell’Emilia e Romagna e  dell’Università di Bari che hano istituito appositi organismi (come la “consulta dei sostenitori” per le università emiliano-romagnole e la “conferenza d’ateneo” per l’università di Bari), con prerogative abbastanza significative per quanto riguarda il controllo “esterno” sulla (e il coinvolgimento nella) programmazione delle attività dell’Università. Si osserva come dal punto di vista dell’integrazione tra Università e  Istituzioni dell’ambito territoriale risultino, anche per effetto della legge di riforma e degli statuti, significativamente affievoliti i legami che storicamente si erano precedentemente  consolidati. Parliamo soprattutto del legame con le città. Gli statuti riformati sulla base della legge citata prevedono la presenza nei consigli di amministrazione e nei nuclei di valutazione di esperti non appartenenti al mondo accademico, ma hanno abolito qualsiasi rappresentanza delle Isituzioni (Comune capoluogo in primis). Da questo versante possiamo pertanto dire che i nuovi statuti ci hanno consegnato università rafforzate nell’autoferenzialità. Si può osservare come la legge di riforma non impediva la costituzione di organismi di collegamento e di partecipazione alla programmazione, e gli statuti citati (sia pure nella debolezza della  ”consulta dei sostenitori” o consimili) ne è prova, ma l’errore di non aver previsto l’obbligatorietà di tali organismi (così come previsto, ad esempio, nell’ordinamento delle università spagnole) ha portato di fatto a non contemplarli e pertanto ad una ulteriore chiusura autoreferenziale delle università. Ne emerge la riproposizione “in peius” di modelli tradizionali, meno partecipati dalle Istituzioni e dal mondo delle Imprese, nei quali anche la famosa “terza missione” viene sì prevista ma con carattere subordinato rispetto alle tradizionali funzioni universitarie (ricerca e insegnamento). Certo bisogna riconoscere la positività della previsione dell’impegno per il trasferimento tecnologico per la quasi totalità delle Università che lo hanno citato nei principi fondamentali degli statuti, cosa che dovrebbe indurre a un maggiore impegno dell’Ateneo per questa missione, ma il tutto appare davvero insufficiente. Nello specifico, probabilmente bisogna prendere atto che l’attività di diffusione del sapere/trasferimento tecnologico può essere efficacemente attuata solo con una strumentazione diversa da quella propriamente accademica e pertanto attraverso strumenti come Fondazioni e Consorzi. Infatti è difficile pensare che una gestione efficace ed efficiente di tali attività possa essere svolta dagli attuali organi di governo dell’Ateneo (Rettore, Senato accademico, Consiglio di amministrazione…). Al tutto dobbiamo aggiungere, in negativo, una maledetta spirale burocratica che avvolge gli Atenei pubblici fino a volerli ridurre a una sorta di licei rigidamente controllati dal Ministero dell’economia. In analogia per quanto detto in fatto di partecipazione delle Istituzioni (e delle Imprese) alla governance degli Atenei sarebbe auspicabile che una legge prevedesse l’obbligatorietà per ogni università di dare vita a una propria fondazione per le attività propriamente riconducibili alla “terza missione”.
E infine, torniamo all’incipit del presente contributo, riscrivendo a nostro uso la famosa frase di Kennedy: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!
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L’Università fuori dall’Europa

Mozione approvata all’unanimità dell’Assemblea della CRUI

(20.12.2012)

Le gravissime e irresponsabili scelte del Governo e del Parlamento contenute nel DDL di stabilità risultano perfettamente coerenti con il piano di destrutturazione del sistema iniziato con le LL. 133/2008 e 126/2008 nella legislatura appena conclusasi, a carico di un sistema universitario notoriamente e pesantemente sottofinanziato rispetto alle altre realtà internazionali. La richiesta di mantenere nella disponibilità delle Università 400mln di euro equivaleva a poco più del 10% degli emendamenti introdotti dal Senato e ad appena l’1% dell’impatto complessivo della manovra. Non si è voluto intervenire se non con un pour boire di 100mln di euro.

La CRUI prende atto di come gli appelli più volte lanciati dalla Conferenza in via ufficiale e a mezzo stampa sin dall’insediamento del Governo sulle conseguenze dell’ulteriore taglio di 400 milioni siano rimasti del tutto inascoltati e le garanzie formulate al riguardo dal Ministro dell’Università siano state totalmente tradite e disattese. E non è più sufficiente, purtroppo, dichiarare che l’Università va in fallimento senza che ciò produca i suoi necessari effetti a tutti i livelli.

Quanto approvato dal Parlamento è in patente contraddizione con le tanto frequenti quanto vacue prese di posizione in favore dei giovani e della ricerca; determinerà un crollo oggettivo del sistema universitario italiano e la sua immediata fuoriuscita dall’Europa.

La CRUI respinge in toto il disegno politico che porta all’affossamento del sistema universitario nazionale, statale e non statale. Per conseguenza, a fronte di una diminuzione del 12% delle risorse nel triennio e di una qualsiasi idea di sviluppo del sistema universitario, la CRUI annuncia fin da subito:
• l’impossibilità di avviare alla ricerca i giovani meritevoli;
• l’irricevibilità del piano triennale inviato alla Conferenza dal MIUR e delle conseguenti forme di ripartizione ivi previste, incluse quelle premiali;
• l’impossibilità di adempiere alle scadenze burocratiche indicate dall’ANVUR di valutazione della didattica, vista l’assenza di risorse adeguate per la costruzione dell’offerta formativa;
• l’impossibilità, alle condizioni attuali, di partecipare in modo competitivo al programma Horizon 2020 e agli obiettivi di efficienza didattica in termini di laureati chiestici dall’Europa.

Deve essere inoltre ben chiaro che, a séguito dei nuovi tagli, le Università italiane garantiranno le spese del solo personale in servizio e si vedranno costrette alla riduzione di non meno del 20-25% dei servizi essenziali per il funzionamento (luce, gas, riscaldamento, laboratori, biblioteche) con le prevedibili conseguenze sulle infrastrutture della didattica e della ricerca, sull’offerta formativa, sulle immatricolazioni e sulla correlata fuga delle menti migliori verso Paesi più “ospitali”. Inoltre, come più volte annunciato, la drastica e inopinata diminuzione delle entrate dallo Stato provocherà lo sforamento dei bilanci di più della metà degli Atenei italiani.

Il Paese, anche in vista delle prossime scadenze elettorali, deve essere consapevole che alle parole spese per lo sviluppo, per la difesa dei giovani e delle loro opportunità dovrà seguire la garanzia dei fatti. Non si può né si deve continuare a mentire. Come può l’Italia stare in Europa se non vi porta le sue Università? Le Università italiane vogliono essere trattate e giudicate su standard europei. Nulla di più.

La CRUI ritiene che l’occupazione dei propri spazi di autonomia da parte di una politica nemica del sapere abbia prodotto risultati disastrosi; intende avviare nelle prossime settimane un dibattito sulle nuove scelte per il futuro del sistema con tutti gli interlocutori coinvolti, a cominciare dagli studenti e dalle famiglie, in vista di un’Assemblea aperta da tenersi prima delle elezioni politiche per rilanciare un’idea diversa di Università nel Paese.

Università e autoreferenzialità: negli anni aumenta nonostante tutto e sappiamo per colpa di chi

Ecco cosa diceva un accademico, ma all’epoca ministro per la funzione pubblica e attualmente presidente del CNR, Luigi Nicolais: rompere autoreferenzialità dell’Università. Purtroppo la recente riforma universitaria, intestata all’ex ministro Mariastella Gelmini ha decisamente contribuito ad aumentare questo tratto negativo degli Atenei italiani. Ma non è certo colpa solo di quella riforma largamente deludente, avversata fieramente dagli studenti e accettata spudoratamente da gran parte dei rettori e dall’establishment accademico. I consigli di Luigi Nicolais sono dunque rimasti del tutto inascoltati

(ANSA) – ROMA, 22 FEB 2007- La riforma dei meccanismi di valutazione nella pubblica amministrazione deve essere “condivisa tra gli addetti ma soprattutto con i portatori di interesse per rompere il circuito perverso dell’autoreferenzialità”. Lo ha sostenuto il ministro per la Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico della Lumsa in cui ha parlato delle sfide che attendono il mondo delle università. “Un’amministrazione più efficiente e al servizio di cittadini e imprese è innanzitutto una pubblica amministrazione più trasparente e valutabile” ha continuato Nicolais riferendosi anche agli atenei per i quali, ha detto, la valutazione deve enfatizzare e sottolineare “la dimensione sociale della qualità attraverso la capacità delle università di assumersi il ruolo strategico di gestione della conoscenza per la società e per tutti i cittadini”. Negli atenei, ha quindi continuato Nicolais, si ripropone il problema della ‘governance’: “l’università – ha detto – nonostante le innovazioni introdotte continua ad essere gestita secondo lo storico ed orgoglioso modello di autoreferenzialità dei dotti, senza dover rendere realmente conto né ai portatori di interesse diversi dagli stessi docenti, e cioé Stato, studenti, forze sociali, né ai maggiori finanziatori, e cioé lo Stato e le Regioni”.

Sardegna Europa nei nostri cuori

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di Franco Meloni

Probabilmente  con una certa ingenuità, da parte mia, parlando con degli amici che la sanno lunga su politica e dintorni, ho avanzato l’ipotesi di candidatura di Renato Soru a rappresentante sardo nel Parlamento Europeo: l’idea non solo non ha riscosso alcun successo, ma è stata considerata, in prevalenza, come una trovata elegante per “giubilare” Soru, togliendolo di mezzo rispetto a ben altri più importanti incarichi pubblici (essendo il medesimo candidabile alla presidenza della Sardegna o a un ministero del prossimo auspicabile governo Bersani). In questo – a parte le considerazioni sul ruolo attuale e potenziale di Soru sullo scenario politico, che qui non voglio trattare – leggo una sottovalutazione dell’importanza dell’Europa e delle implicazioni delle politiche europee per la Sardegna. Personalmente (in sintonia con altri e con formazioni politiche italiane e sarde, in primis i Rossomori) credo che la Sardegna si salvi solo dentro una prospettiva europea, chiaramente di una Europa diversa da quella attuale e che l’Europa sarebbe comunque valorizzata da una forte presenza autonoma della Sardegna. Per questo occorre costruire una coerente politica europeista (in Italia e in Sardegna), a partire dal cambiamento della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani nel parlamento europeo, al fine di superare l’attuale vergognosa esclusione della rappresentanza sarda. Su questa questione mi pare vi sia peraltro un preciso impegno di Bersani. Non occorre soffermarsi, ma giova ripetercelo, come le risorse più importanti per risollevare l’economia della Sardegna verranno proprio dai fondi europei (in particolare fondi strutturali della programmazione 2014-2020), che, evidentemente, devono essere spesi e spesi bene, in controtendenza rispetto a quanto finora avvenuto. Abbiamo dunque necessità di una forte, autorevole, presenza della Sardegna a Bruxelles. E l’efficacia di una presenza non è certo solo un fatto formale. E’ questione di persone. Scusatemi qui una digressione riflettendo sul passato: il posto di presidente della Democrazia Cristiana ha sempre contato bel poco sul piano del potere in quel partito e fuori dallo stesso; eppure quando quel ruolo fu coperto da Aldo Moro, venne giustamente considerato come il centro del potere politico italiano, tanto è che le sciagurate Brigate rosse lo assunsero come il cuore del sistema borghese, da abbattere, con tutto quello che ne seguì con l’assassinio dell’uomo politico in quel momento davvero più importante del paese. Ma è un’altra storia. Qui voglio solo dire che Renato Soru rappresenterebbe davvero un riferimento europeo per la Sardegna, ovviamente in un’ipotesi di un nuovo decente governo di centro sinistra della Regione. Almeno così l’ho pensata facendo la proposta dalla quale sono partito. Stando sull’argomento mi pare che la storia della “sottovalutazione” venga confermata dalla tiepidezza attribuita a Francesca Barracciu nell’assumere l’incarico di parlamentare europeo, a cui sembrerebbe voler rinunciare proprio in vista di  traguardi considerati di maggior valore  (sempre la possibile candidatura alla presidenza della Giunta regionale?).

Mah! Per farla breve, da questo piccolo e modesto pulpito, voglio ribadire la necessità di un impegno europeo per Cagliari e per la Sardegna, ma non solo. Dobbiamo cogliere per questo tutte le occasioni, dalle più piccole (la promozione delle iniziative europeiste nelle scuole. master di progettazione europea…) a quelle più rilevanti in relazione alle risorse necessarie per organizzare eventi di rilievo internazionale, ai tavoli veri che bisogna costruire per gestire con competenza e consenso diffuso la programmazione dei fondi 2014-2020… Il discorso è ormai aperto, anche se  al riguardo avvertiamo una forte sensazione di inadeguatezza, di scarsa consapevolezza e perfino di allarmante disinteresse, in  Sardegna e non solo, ma è della Sardegna che ci dobbiamo innanzitutto preoccupare. Noi ce la metteremo tutta!
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Cagliari-Sardegna-Europa. Considerazioni che non perdono di validità. Anzi!

IL RUOLO DI CAGLIARI PER LA COSTRUZIONE DI UNA POSSIBILE NUOVA EUROPA*

di Franco Meloni

Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando a diversi interventi del sindaco di Cagliari Massimo Zedda, che mi è capitato di leggere sulla stampa e seguire sulle televisioni. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco vuole fare e crediamo faccia significa fare di per se una scelta rivoluzionaria a vantaggio dei cittadini cagliaritani. Tuttavia io non credo che l’Amministrazione Zedda debba limitarsi a ciò. Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.

Ripubblicazione di un editoriale del 12 marzo 2012

Elogio del maiale (a proposito di PIIGS Factor)

di Jesús Timoteo Álvarez
ANEXO*
Digressione sull’importanza del maiale (PIIGS Factor) e dell’Indice di Maiale pro Capite (IMC) nell’economia europea e come punto di riferimento nell’attuale crisi economica.
Grazie a Dio per aver creato il maiale, un animale utile a tutti, nato per trasformare gli avanzi e i residui in meravigliosi piatti, per essere universale e per niente classista, per essere ecologico, per niente razzista, e per essere democratico e ottenere che in lui tutto sia utilizzabile.
È impossibile comprendere l’evoluzione economica dell’Europa senza il maiale.